Welfare aziendale come leva di competitività Il welfare aziendale non è un semplice elenco di benefit, ma un sistema strategico che integra persone, organizzazione e sostenibilità economica e sociale. Vale la pena provare a fornire un quadro generale che ne chiarisca i contorni.

di David Nerini
12/08/2025

In un mercato del lavoro segnato da competizione per i talenti e nuove sensibilità sociali, la presenza di piani welfare incide sempre più sulla scelta dei candidati e sulla permanenza dei collaboratori. Per le imprese, significa trasformare un costo in investimento: benessere, produttività e reputazione crescono insieme quando le misure sono progettate e governate con metodo.

Definizione e inquadramento strategico

Il welfare aziendale può essere definito come un insieme coordinato di opere, servizi e prestazioni erogati dal datore di lavoro per migliorare la qualità della vita dei dipendenti e dei loro familiari. Dal punto di vista gestionale il welfare azienda si configura come:

  • Leva di valore, in quanto in grado di  contribuire sui fronti attrazione/retention, clima aziendale e engagement;
  • Strumento di pianificazione economico-fiscale, che permette l’ottimizzazione del costo del lavoro;
  • Fattore di sostenibilità (sociale e organizzativa), che rafforza la responsabilità dell’impresa verso le persone e il territorio.

In altre parole il welfare sposta risorse da oneri improduttivi a misure ad alto impatto percepito (salute, famiglia, mobilità, formazione), con ritorni su produttività, attrattività, retention, engagement, assenteismo e turnover.

L’impatto economico: il confronto “cash vs welfare”

Il vantaggio economico del welfare aziendale emerge confrontando il diverso impatto del riconoscimento di una somma erogata in busta paga, rispetto alla fruizione come benefit.

Con una forte dose di approssimazione (poiché una vera simulazione richiederebbe di dare forma a casi specifici che prevedano inquadramento contrattuale, anzianità, aliquote fiscali e contributive applicate), possiamo però dire che a fronte di 100 euro lordi destinati a un lavoratore, l’erogazione in busta paga può tradursi in un costo azienda di circa 140 euro, con netto in tasca al dipendente di circa 68 euro. In modalità welfare, 100 euro di costo aziendale generano 100 euro di valore fruibile dal lavoratore quando rientrano nelle fattispecie esenti; l’impresa ottiene quindi un risparmio nell’ordine del 28/30%, mentre il dipendente si vede destinatario di un maggiore potere di acquisto di circa il 40%. L’impatto risulta già così piuttosto evidente.

Trattamento fiscale e deducibilità: come massimizzare l’efficienza

La disciplina ruota attorno agli art. 51 e 100 del TUIR e alla distinzione tra welfare obbligatorio (previsto da contratto/accordo/regolamento aziendale) e welfare volontario (derivante da erogazione unilaterale).

Nel caso di welfare obbligatorio (applicato alla generalità dei lavoratori o categorie omogenee), per il dipendente, le voci rientranti nelle fattispecie dell’art. 51 TUIR non concorrono al reddito. Per l’azienda, invece, i costi sono interamente deducibili come costo del personale (art. 95 TUIR).

Nel caso di welfare volontario (non previsto cioè da accordi/CCNL/regolamenti vincolanti, ma derivante da mera discrezionalità da parte del datore di lavoro), per il dipendente, valgono comunque le esclusioni da reddito previste dall’art. 51 TUIR. Per l’azienda invece, le spese per opere e servizi di utilità sociale sono deducibili entro il limite del 5‰ del costo del lavoro (art. 100, c. 1 TUIR).

Da un punto di vista operativo quindi per salvaguardare la piena deducibilità è consigliabile disciplinare il piano tramite accordo collettivo o regolamento aziendale e indirizzare l’offerta alla generalità o a categorie omogenee (evitando cioè misure ad personam).

Le aree di intervento e le soglie 2025

Il portafoglio welfare si costruisce integrando aree ad alto impatto sociale con misure di efficienza fiscale. Di seguito le principali macro-aree con le regole 2025:

  1. Famiglia e istruzione: comprende rette e servizi educativi (nidi, scuole), libri e materiale didattico, campus/centri estivi, borse di studio, servizi di cura. Il regime prevede esenzione se erogati alla generalità/categorie (art. 51, c. 2, lett. f) TUIR), senza alcun tetto quantitativo previsto dalla norma.
  2. Cultura, ricreazione, formazione extra‑professionale, sociale: comprende corsi di lingue e informatica, attività sportive e culturali, iniziative sociali e di benessere. Il regime prevede esenzione per opere/servizi rivolti a generalità/categorie (art. 51, c. 2, lett. f) TUIR), senza limiti di importo.
  3. Assistenza sanitaria integrativa: prevede una soglia di 3.615,20 euro annui per contributi a fondi/enti con finalità sanitarie che rispettano i requisiti di legge. Il regime prevede la non imponibilità per il dipendente, mentre per l’impresa c’è  deducibile per l’impresa secondo la disciplina vigente.
  4. Previdenza complementare: prevede una soglia di 5.164,57 euro annui per i versamenti a forme pensionistiche complementari.
  5. Altri benefit (fringe e strumenti con soglie specifiche) in diverse forme:
  • Fringe benefit fino a 1.000 euro annui (2.000 euro con figli a carico), oltre tali limiti l’intero importo diventa imponibile.
  • Buoni pasto: 4 euro/giorno (cartacei) e 8 euro/giorno (elettronici) esenti.
  • Veicoli aziendali ad uso promiscuo, per i quali si applica un criterio forfetario, in base al quale si prende il costo ACI di 15.000 km/anno e se ne assume una percentuale, al netto di eventuali trattenute al dipendente pari al 50% per veicoli ordinari, al 20% per ibridi plug-in e al 10% per elettrici puri.

Dalla progettazione all’implementazione di un piano di welfare aziendale.

Scrivevo in questo articolo che “occorre attribuire al piano di welfare aziendale il giusto peso per evitare di caricarlo di aspettative che inevitabilmente non si realizzeranno. Lo strumento non può eliminare tutte le componenti psicosociali della vita in azienda che dipendono da una moltitudine di fattori, taluni anche combinati in modo contradditorio. Ciononostante questi strumenti sono in grado, se ben pensati e realizzati, di produrre esiti talvolta sorprendenti”. Occorre quindi partire con il piede giusto; non si può pertanto prescindere dalla corretta implementazione delle seguente aree:

  • Analisi dei fabbisogni (Segmentazione della popolazione: età, composizione familiare, sede/turni, inquadramento, tipologie contrattuali – Ascolto strutturato: survey anonima, focus group mirati, analisi dati HR su assenteismo, turnover, infortuni, tempi di rientro post‑maternità/paternità – Prioritizzazione: matrice impatto percepito vs. costo unitario per guidare le scelte).
  • Disegno del portafoglio (Equilibrio tra aree core come sanità/previdenza ad esempio e servizi abilitanti come mobilità, conciliazione, formazione – Inclusività: misure fruibili da cluster diversi  come single, genitori, caregiver, over‑55 – Governance fiscale: regole chiare su documentazione, rimborsi, vincoli di utilizzo, scadenze).
  • Attuazione (Regolamento/accordo che definisce platea, budget figurativo, conversioni, finestre e canali – Piattaforma per gestione benefit, help‑desk e reportistica – Comunicazione: kit di lancio, FAQ, webinar, nudge comunicativi per l’adozione).
  • Misurazione e miglioramento continuo (KPI di utilizzo: tasso di attivazione, penetrazione per area, spesa media per cluster – KPI di impatto: produttività, assenteismo, turnover volontario, clima aziendale, eNPS[1] – Ciclo di revisione: retrospettiva semestrale con HR e RSU, riallocazione budget alle misure più efficaci, A/B test su nuove iniziative).

L’importanza dell’integrazione con i Premi di Risultato 

L’integrazione tra welfare e premi di risultato (PDR) è il punto in cui la strategia HR incontra l’efficienza fiscale. Per il triennio 2025–2027 i PDR godono dell’imposta sostitutiva del 5% entro 3.000 euro annui (4.000 euro se è previsto il coinvolgimento paritetico dei lavoratori) e per i dipendenti con reddito dell’anno precedente entro 80.000 euro. A questa leva si aggiunge la possibilità, quando prevista dall’accordo di secondo livello, di convertire tutto o parte del premio in beni e servizi di welfare che, se rientrano nelle fattispecie dell’art. 51 TUIR, non sono imponibili ai fini fiscali e contributivi. Ne deriva un doppio canale di ottimizzazione: cash agevolato (5%) oppure welfare esente.

In buona sintesi i vantaggi dell’integrazione welfare/premi di risultato si basa su:

  • Valore netto più alto: la conversione in welfare destina integralmente la risorsa a servizi utili (sanità integrativa, previdenza complementare, istruzione, mobilità sostenibile, fringe benefit entro soglia), evitando erosioni fiscali e contributive.
  • Scelta personalizzata: ogni lavoratore può modulare (totale/parziale) l’opzione in base ai propri bisogni familiari e di vita.
  • Coerenza con gli obiettivi: legare il premio a indicatori di produttività/qualità ed offrire la trasformazione in welfare genera un circolo virtuoso tra risultati, benessere e fidelizzazione.

L’opzione welfare amplifica il valore netto percepito dal lavoratore e riduce il cuneo per l’impresa, con impatto positivo su motivazione e tenuta retributiva.

Conclusioni: il “takeaway” per le organizzazioni

Il welfare aziendale è una leva di competitività: migliora benessere e produttività, attrae talenti e rende più efficiente l’impiego delle risorse. La sua efficacia dipende dalla qualità della progettazione (analisi dei fabbisogni), dalla corretta impostazione fiscale (artt. 51 e 100 TUIR; deducibilità piena vs 5‰) e da una governance che misuri risultati e corregga la rotta.

Per il 2025, l’integrazione con i premi di risultato al 5%, l’uso consapevole dei fringe benefit, la valorizzazione di sanità e previdenza e l’attenzione ai veicoli a basse emissioni compongono un quadro favorevole. Investire nel welfare non è un costo da contenere, ma una scelta strategica da progettare, implementare e monitorare con rigore.

 

[1] Per eNPS si intende “employee Net Promoter Score”, ossia la misura di quanto è probabile che un dipendente raccomandi ad altri la propria azienda come luogo di lavoro; è una sorta di temperatura che si muove tra le aree dei promoter e dei detractor,

 

 

 

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