di David Nerini
05/09/2025
Con “value washing” intendiamo l’uso disinvolto del linguaggio dei valori (sostenibilità, inclusione, centralità del cliente, etica dei dati e via dicendo) senza che quelle parole si traducano in scelte visibili: priorità di budget, criteri di costruzione della carriera, processi, comportamenti della leadership. È un contenitore più ampio del “greenwashing” (quando la sostenibilità ambientale è più aspetto di facciata) e del “digital washing” (quando i percorsi di trasformazione digitale appaiono come sfavillanti presentazioni, ma internamente rimane quasi tutto come prima). Il risultato che si genera è una distanza crescente tra messaggio e realtà organizzativa.
La pressione del mercato e degli investitori spinge molte aziende a dichiarare il proprio purpose (la ragione d’essere) e a costruire l’immagine di azienda come luogo di lavoro desiderabile. Se però le leve interne (KPI, OKR e regole di retribuzione) non vengono ridisegnate, il messaggio resta solo sulla carta. La comunicazione poi corre più veloce del cambiamento operativo e, nel frattempo, la credibilità si consuma.
Come il value washing compromette l’engagement
Il primo effetto è la rottura del contratto psicologico, cioè l’insieme di aspettative non scritte tra persona e azienda. Quando si promettono merito, apprendimento continuo e impatto mentre invece si praticano urgenza permanente, budget incoerenti e decisioni opache, il cervello registra una discrepanza, una contraddizione e risponde conseguentemente con sfiducia. La sfiducia, a sua volta, riduce la disponibilità discrezionale, quell’energia aggiuntiva che le persone mettono a prescindere dal contratto quando credono nel progetto.
Subentra la dissonanza cognitiva: quelli che non abbandonano l’azienda costruiscono narrazioni in logica di autodifesa (“in fondo non dipende da me” o “qui funziona così”), che erodono l’iniziativa. Crescono cinismo e presenzialismo (esserci senza però contribuire davvero), oppure la versione più silenziosa e ultimamente piuttosto diffusa del disimpegno, chiamata quiet quitting (si rimane in azienda ma facendo lo stretto indispensabile e nulla di più). Qualche segnale? Feedback tardivi o rituali, riunioni dove con i valori si aprono le riunioni ma non entrano nelle decisioni, team che non chiedono più risorse perché “tanto non serve”.
Il benessere psicologico si indebolisce. La sicurezza psicologica si contrae. Chi credeva nello scopo investe energia emotiva e, non vedendo coerenza, prova quella frustrazione di non poter incidere. A quel punto anche i talenti più generosi tirano il freno: si vede dal fatto che generano meno proposte, assumono sempre meno responsabilità, riducono la creatività. L’azienda perde conseguentemente velocità proprio dove la twin transition richiederebbe il contrario.
Come il value washing indebolisce l’attrazione del talento
All’esterno, il mercato del lavoro funziona come un sistema di segnali. I candidati mettono insieme fonti diverse (il lavora con noi dei siti web aziendali, colloqui, testimonianze informali, piattaforme di recensione, consultano il proprio network) per valutare la coerenza tra storytelling (la narrazione ufficiale) e storydoing (ciò che si fa davvero). Se l’esperienza di chi è già dentro che si trasla all’esterno non conferma la promessa, il passaparola cambia polarità: calano le candidature suggerite dai dipendenti, scende il tasso di accettazione delle offerte, si allungano i tempi di copertura delle posizioni.
Anche quando l’offerta viene accettata, la comprensione che i valori sono solo raccontati e non praticati aumenta il rischio di uscita precoce e si compromette la qualità dell’assunzione, intesa come capacità del nuovo ingresso di portare contributo stabile.
Il value washing genera di solito anche un circolo vizioso; per compensare un impegno che cala, il management intensifica comunicazione e iniziative simboliche, con l’effetto che la sproporzione tra parole e fatti tende a diventare più evidente e potenzialmente più virale, con l’effetto di comprimere ancora di più la fiducia.
Segnali da non ignorare e scelte imprescindibili per generare coerenza
Ci sono spie che un HR attento riconosce anche senza un cruscotto pieno di numeri. Quando le iniziative valoriali accumulano nomi accattivanti ma nessuna scelta “scomoda” (nessun no detto apertamente, nessun budget riposizionato, nessuna carriera ripensata) allora la probabilità di value washing in atto è alta. Quando i manager aprono i meeting ricordando i principi e poi chiudono decidendo come se quei principi non esistessero, il team smette di prenderli sul serio.
Ci sono però elementi che riducono drasticamente il rischio. Vediamone qualcuno:
- se i valori contano, devono entrare nei meccanismi che toccano la vita delle persone (retribuzione variabile, progressioni, visibilità dei progetti);
- animare piccole decisioni che dimostrano il cambiamento (escludere un progetto profittevole ma non allineato ai criteri ambientali dichiarati, spostare budget da sistemi operativi obsoleti a piattaforme dati che abilitano davvero la trasformazione);
- allenare i capi a tradurre i valori in conversazioni (negoziare priorità, spiegare i trade-off, dare feedback tempestivi), poiché senza questo tipo di struttura relazionale ogni slogan si svuota, crollando su sé stesso;
- occorre trasparenza sui numeri, ma misurando ciò che serve davvero e condividendo i dati con regolarità. In altre parole, se parliamo di etica dei dati, va resa visibile la qualità dei dati. Se dichiariamo impegno ambientale, va mostrata la dinamica degli sprechi o delle emissioni sui processi core. Se promettiamo percorsi di crescita, vanno resi evidenti i tempi dedicati realmente alla formazione e i passaggi di ruolo.
Conclusioni
Il value washing non è solo un problema reputazionale: riduce l’energia che sostiene prestazione e innovazione e deteriora la credibilità che attira i talenti. L’engagement si consuma perché il patto psicologico si incrina; l’attrattività cala perché il mercato del lavoro riconosce rapidamente la distanza tra racconto e fatti. Mentre invece quando si opera con coerenza le persone tornano a impegnarsi e i talenti tornano a bussare alla porta.
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