L’effetto riccio e il potere delle relazioni nei team Come creare fiducia e performance nei team, partendo dalla consapevolezza relazionale

di David Nerini
02/08/2025

In un’epoca in cui la complessità organizzativa è diventata una costante e l’agilità relazionale una competenza strategica, il testo The Hedgehog Effect[1] di Manfred F. R. Kets de Vries si presenta come un contributo essenziale per comprendere e migliorare il funzionamento dei team. Il libro propone un viaggio all’interno della psiche dei gruppi e delle dinamiche interpersonali che, se ben governate, possono trasformare un insieme di individui in un sistema coeso e performante. Alla base dell’analisi si trova una metafora tanto poetica quanto illuminante: quella del dilemma del riccio.

Il dilemma, tratto dalla filosofia di Arthur Schopenhauer e ripreso da Freud, narra di come i ricci, per proteggersi dal freddo, si avvicinino tra loro per condividere il calore corporeo, salvo poi pungersi a vicenda con gli aculei. Questo li porta a cercare una distanza di sicurezza, non troppo vicina da ferire, ma neppure troppo lontana da soffrire il gelo. È una rappresentazione simbolica delle nostre relazioni interpersonali: il desiderio di connessione e la paura di essere feriti.

Le condizioni per la performance collettiva

In ambito lavorativo, il dilemma del riccio si manifesta nel delicato equilibrio tra collaborazione e conflitto, apertura e riservatezza, empatia e difesa. Secondo Kets de Vries, è proprio in questa dinamica che si gioca la vera partita della performance collettiva. “I team non falliscono per mancanza di competenze tecniche, ma per una gestione inadeguata delle emozioni, delle percezioni reciproche, delle tensioni latenti”. Le organizzazioni che riescono a superare queste barriere sono definite “authentizotic organizations”, ovvero luoghi di lavoro in cui le persone sperimentano autenticità, vitalità e un profondo senso di appartenenza.

Questi ambienti sono caratterizzati da metavalori (una sorta di convincimenti-guida) come la fiducia, la trasparenza, la condivisione del significato del lavoro. Non si tratta solo di creare benessere, ma di generare un ecosistema in cui le energie individuali e collettive si alimentano reciprocamente.

Il coaching come leva trasformativa

Uno dei cardini del metodo proposto è il coaching di gruppo, inteso non come semplice facilitazione, ma come dispositivo trasformativo. Il coach assume il ruolo di specchio, di catalizzatore e di contenitore, aiutando il team a portare alla luce le dinamiche sommerse e a costruire una nuova narrativa condivisa. “La capacità di osservare il gruppo come un’entità con una propria identità psichica permette di andare oltre la somma delle individualità e di accedere a un livello più profondo di comprensione e coesione.”

Il coaching diventa così un luogo di elaborazione collettiva, di apprendimento emotivo e cognitivo, dove il team può riscoprire il proprio potenziale. Ma affinché ciò avvenga, è fondamentale che il gruppo si senta accolto e protetto. Il setting del coaching, la sua ritualità, le regole di ingaggio, la gestione del tempo e dello spazio sono elementi fondamentali per creare un contesto sicuro.

Un aspetto chiave del coaching trasformativo è il lavoro sulle rappresentazioni interne e sui copioni relazionali. Attraverso tecniche come le costellazioni organizzative, i role-play, l’analisi dei casi reali e la facilitazione del dialogo generativo, i membri del team possono prendere consapevolezza di meccanismi inconsci che guidano i loro comportamenti. Questo processo permette di passare dalla reattività automatica alla scelta consapevole, favorendo la responsabilizzazione individuale e collettiva.

Inoltre, il coaching aiuta il team a sviluppare una metacompetenza cruciale: la capacità riflessiva. Quando un gruppo impara a osservare se stesso in azione, a interrogarsi sulle proprie dinamiche, a dare significato ai propri successi e fallimenti, si apre la possibilità di apprendimento autentico e di cambiamento duraturo. Il coaching, in questo senso, non è una pratica esterna al lavoro del team, ma una parte integrante del suo modo di evolvere.

Il ruolo del coach non è quello di offrire soluzioni preconfezionate, ma di facilitare un processo in cui il team diventa autore del proprio sviluppo. È una funzione delicata e potente: si tratta di far emergere la saggezza collettiva, di sostenere le difficoltà emotive, di mantenere il focus sull’obiettivo comune.

Infine, va sottolineato che il coaching trasformativo richiede un’alleanza forte con la leadership dell’organizzazione. Senza un commitment reale da parte dei vertici e un’integrazione coerente con la cultura aziendale, il rischio è che il lavoro sul team resti confinato in uno spazio protetto ma isolato, incapace di generare impatti sistemici.

Una leadership fondata sulla vulnerabilità
Kets de Vries evidenzia anche la centralità della leadership, non più intesa come dominio individuale, ma come funzione collettiva, distribuita e situazionale. “Il leader autentico è colui che sa gestire le proprie emozioni, che sa ascoltare, che sa creare uno spazio sicuro in cui le persone possano esprimersi senza paura di giudizio.”

Una leadership così concepita è in grado di trasformare il conflitto in risorsa, la diversità in ricchezza, l’incertezza in opportunità. Il leader del futuro è dunque colui che coltiva la propria umanità per facilitare quella altrui.

Nel testo viene sottolineato anche il ruolo degli strumenti di diagnosi e di intervento sistemico. Il lavoro sui team non può prescindere da un’attenta lettura del contesto, dei pattern relazionali, delle difese collettive. Occorre un approccio che integri la dimensione individuale, quella di gruppo e quella organizzativa. In questo senso, il coaching assume un valore strategico: non è più solo uno strumento di sviluppo personale, ma una leva di trasformazione culturale.

Questo tipo di intervento richiede sensibilità e competenze specifiche. Si parte dall’osservazione dei comportamenti ricorrenti, delle dinamiche di potere, dei silenzi e delle emozioni emergenti. Attraverso strumenti quali la sociometria, le interviste in profondità e l’analisi delle narrative condivise, è possibile mappare le tensioni latenti e i punti di forza inespressi. La comprensione del “gruppo come tutto” diventa il punto di accesso per intervenire sulle leve relazionali e culturali.

Le trasformazioni più efficaci sono quelle che avvengono “da dentro”, partendo dalla consapevolezza condivisa dei membri del team. Questo tipo di lavoro permette di disinnescare automatismi disfunzionali, di sciogliere nodi emotivi, di ridefinire identità collettive. I team imparano così a leggere i segnali deboli, a costruire nuovi significati, a generare processi di apprendimento continuo.

Il passaggio da una cultura della performance individuale a una cultura della collaborazione sistemica è la vera sfida evolutiva per le organizzazioni contemporanee. Solo riconoscendo e lavorando sulle dinamiche invisibili si può costruire un terreno fertile per l’innovazione e la resilienza.

Riscoprire l’umano nei team

L’autore lo dice chiaramente: “teams are not machines, they are living, breathing organisms with feelings, needs, and inner lives”. Questo ci impone un cambio di paradigma: non possiamo più trattare le dinamiche di gruppo come processi meccanici da ottimizzare, ma come realtà complesse da comprendere e accompagnare.

Il libro ci invita a riflettere su una verità spesso trascurata nel mondo aziendale: “le organizzazioni sono sistemi umani, fatti di emozioni, desideri, paure, relazioni.” Ignorare questa dimensione significa rinunciare a comprendere ciò che davvero muove (o blocca) la performance. Al contrario, accoglierla, lavorarla, renderla visibile, è il primo passo per creare team realmente efficaci, sostenibili, felici.

In definitiva, il messaggio che emerge con forza è che il successo organizzativo non si costruisce sulla sola efficienza, ma sulla qualità delle relazioni. È nelle interazioni quotidiane, nei non detti, nei piccoli gesti di apertura e ascolto che si gioca la differenza tra un gruppo e un vero team. E forse, nel trovare la giusta distanza tra i nostri aculei, possiamo scoprire il calore autentico della collaborazione.

 

 

[1] Kets de Vries M. F. R. (2011), The Hedgehog Effect – Executive coaching and the secrets of building high performance teams, John Wiley & Sons, San Francisco

 

 

 

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