Talenti multipotenziali: come riconoscerli, ingaggiarli e farli crescere davvero Dalla curiosità all’impatto: come integrare e far crescere i profili multipotenziali, trasformando versatilità in performance, benessere ed engagement

di David Nerini
21/10/2025

C’è un filo che unisce le persone curiose, veloci ad apprendere, capaci di tenere insieme pezzi di mondi diversi. Quel filo ha un nome, multipotenzialità appunto, ed è una chiave di lettura molto attuale per ripensare organizzazioni, carriere e modelli di sviluppo. La letteratura sul tema ci dice che il multipotenziale è qualcuno che non si riconosce in una sola etichetta professionale, che coltiva interessi molteplici e passa con naturalezza da un dominio all’altro, non per dispersione ma per costruire senso e valore lungo traiettorie non lineari. È una figura particolarmente coerente con il lavoro contemporaneo, permeato da carriere aperte e frammentate, identità professionali più mobili, contenuti e processi che cambiano rapidamente anche per l’adozione di nuovi paradigmi tecnologici. In questo contesto, i multipotenziali agiscono e si realizzano, portando contributi particolarmente significativi al business di oggi.

In più, il quadro internazionale conferma questa direzione: il World Economic Forum, nel suo report 2025[1], identifica il “pensiero analitico” e “pensiero creativo” come competenze chiave da ricercare e sviluppare nei prossimi anni. È un’indicazione perfettamente coerente con il profilo del multipotenziale, che per sua natura combina capacità di analisi rigorosa e generazione di idee originali, traducendole in soluzioni utili ai contesti organizzativi.

Ho avuto modo di leggere sull’argomento un testo di Fabio Mercanti[2]. “Ogni multipotenziale segue un percorso originale, ma tutti condividono delle capacità tipiche” dice l’autore. È una sorta di marchio di fabbrica, caratterizzato da: sintesi di idee, apprendimento rapido e adattabilità. Si tratta di tre drivers che operano in combinazione. Il multipotenziale attraversa linguaggi e metodi, allarga il proprio vocabolario tecnico e sociale, dialoga con professioni diverse, rilegge problemi con prospettive laterali. È proprio questa miscela a renderlo appetibile ai recruiter e strategico per le aziende che innovano, a patto di non scambiare la flessibilità con disponibilità infinita e di evitare di erodere il talento in task frammentati senza cornice di senso.

Oggi i percorsi di carriera raramente seguono una linea retta. Molte persone cambiano ruolo, settore o ambito di interesse più volte nella vita professionale. In questi casi, la soluzione non è cercare di tornare a un percorso tradizionale, ma piuttosto costruire una storia professionale che colleghi coerentemente tutte queste esperienze diverse. Si tratta di dare un senso unitario ai vari cambiamenti, trasformandoli in un’identità professionale riconoscibile e solida. Senza questo lavoro di costruzione narrativa però emergono frustrazione e si perdono opportunità; con una narrazione efficace, invece, la molteplicità di esperienze diventa un punto di forza e si trasforma in ricchezza professionale.

Perché questo profilo può essere interessante per un’azienda? Perché consente di affrontare problemi non standard con combinazioni di competenze che si aggiornano in corsa. Spostarsi tra ambiti diversi allarga il patrimonio cognitivo e relazionale e fa agire queste persone come pivot fondamentali nei contesti in cui serve trasversalità e non soltanto approfondimenti verticali. Investire su un multipotenziale significa raccogliere versatilità, connessioni inedite e velocità di apprendimento.

Come favorire l’integrazione di un multipotenziale in un contesto aziendale.

Il punto di partenza è riconoscere che non c’è una vocazione da incasellare. Esiste invece una professionalità in evoluzione, che va resa raccontabile e misurabile in termini di impatto. Il primo passo organizzativo è offrire una cornice che legittimi la molteplicità come risorsa: ruoli progettuali a perimetro chiaro ma permeabili, obiettivi per esiti (non per mansioni), criteri di successo legati a problemi risolti, apprendimenti trasferiti e connessioni ben abilitate tra le varie funzioni.

In fase di selezione, evitate di limitare la valutazione alla semplice corrispondenza con la posizione vacante. Cercate invece evidenze concrete di apprendimento rapido, osservando se il candidato ha dimostrato di saper acquisire velocemente nuove competenze come linguaggi di programmazione, metodologie di lavoro o strumenti tecnici. Valutate anche la capacità di sintesi, verificando se sa integrare informazioni provenienti da fonti diverse per elaborare proposte coerenti, e l’adattabilità, controllando se ha saputo mantenere un contributo di qualità anche cambiando contesto professionale o ambito di attività.

Analizzate inoltre come il candidato si muove tra due modalità complementari identificate dal World Economic Forum. La prima è il pensiero analitico-convergente, che comprende la raccolta e interpretazione sistematica dei dati, l’individuazione di relazioni causa-effetto e la definizione di criteri decisionali chiari. La seconda è il pensiero creativo-divergente, che si manifesta nella generazione di soluzioni alternative, nella capacità di riformulare i problemi da diverse prospettive e nell’applicazione di analogie con trasferimento di conoscenze tra ambiti differenti.

Durante l’onboarding, progettate una roadmap dettagliata che specifichi gli ambiti operativi che la nuova risorsa dovrà presidiare, le interfacce organizzative con cui dovrà interagire e i percorsi di apprendimento da attivare nei primi novanta-centottanta giorni. Strutturate questo periodo iniziale alternando fasi di esplorazione creativa, dedicate alla ricerca di pattern organizzativi, interviste con stakeholder interni e sviluppo di prototipi, con fasi di validazione analitica, focalizzate sulla formulazione di ipotesi verificabili, definizione di metriche di successo e produzione di documenti decisionali.

Questo approccio consente di trasformare rapidamente la flessibilità del profilo selezionato in contributi concreti e misurabili, evitando che rimanga una caratteristica generica e poco valorizzata.

Nella progettazione delle attività lavorative, è necessario adottare formati organizzativi che favoriscano il movimento attraverso confini funzionali e disciplinari. Risultano efficaci strumenti come incubatori interni dedicati a problemi che richiedono competenze trasversali, missioni temporanee presso team differenti con rientri periodici alla propria unità di origine, e comunità di pratica che facilitino la circolazione di metodologie e apprendimenti.

Tutti questi dispositivi richiedono però un elemento di coordinamento fondamentale: un ritmo condiviso che scandisca le fasi di lavoro operativo, sintesi dei risultati e trasferimento delle conoscenze. In ciascun ciclo, la persona deve essere sollecitata a consolidare quanto ha esplorato attraverso output tangibili quali documenti, toolkit metodologici o automatismi procedurali, evitando il rischio di accumulare esperienze frammentate senza capitalizzazione organizzativa. Questo approccio rappresenta il modo più efficace per collegare la multipotenzialità individuale alla creazione di asset strategici per l’azienda.

La gestione del tempo richiede un’attenzione particolare. Un profilo multipotenziale esposto a stimoli continui può facilmente trovarsi in condizione di sovraccarico. Diventa quindi necessario inserire nella routine momenti strutturati di pianificazione e revisione, con cadenza settimanale e trimestrale, durante i quali definire le priorità di focus, archiviare consapevolmente le esplorazioni non strategiche e riallineare le aspettative reciproche tra la risorsa e l’organizzazione. Non si tratta di appesantimento burocratico, ma di una vera e propria manutenzione dell’identità professionale che previene la dispersione e la frustrazione.

Percorsi di crescita e criteri di valutazione

I percorsi di carriera reticolari risultano più appropriati rispetto alle tradizionali progressioni gerarchiche verticali. Lo sviluppo professionale può infatti alternarsi tra fasi di ampliamento, caratterizzate dall’esposizione a nuovi domini, mercati o tecnologie, e fasi di approfondimento, nelle quali la persona assume la responsabilità diretta di un’area-problema specifica. È fondamentale che la risorsa sia in grado di costruire e comunicare una narrazione coerente che colleghi questi passaggi apparentemente eterogenei. Investite nello sviluppo di questa capacità narrativa professionale, poiché la storia non lineare del contributo individuale costituisce la vera infrastruttura su cui si costruiscono credibilità e capacità di influenza all’interno dell’organizzazione.

La valutazione deve basarsi su metriche coerenti con questo modello di sviluppo. Osservate la velocità di apprendimento effettiva, la qualità della sintesi prodotta in termini di chiarezza e trasferibilità, il contributo all’adattabilità organizzativa attraverso processi migliorati e standard resi più flessibili, nonché l’impatto cross-funzionale misurabile nella creazione di connessioni tra aree e nella riduzione di dipendenze critiche. Integrate inoltre indicatori specifici per il pensiero analitico, valutando la qualità delle ipotesi formulate, la robustezza degli esperimenti condotti e la capacità di distinguere segnali rilevanti da rumore informativo, e per il pensiero creativo, considerando l’originalità delle soluzioni proposte, il numero e la qualità dei concept sperimentati e la trasferibilità delle idee tra domini differenti. Evitate di premiare esclusivamente la profondità verticale specialistica, poiché questo messaggio implicito spingerebbe queste persone a snaturare il proprio contributo distintivo, facendo perdere all’organizzazione proprio le caratteristiche per cui le avete selezionate.

Il rischio da evitare e le opportunità da cogliere.

Il rischio principale è trattare il multipotenziale come una risorsa tuttofare, usandolo per tappare ogni buco organizzativo. Questo approccio porta al logoramento e alla perdita della persona.

I problemi più comuni sono diversi. Quando il ruolo non ha confini chiari, la persona si disperde in tante piccole attività senza poter costruire una propria identità professionale riconoscibile. Passare continuamente da un ambito all’altro ha un costo cognitivo: se i cambiamenti sono troppi, la qualità del lavoro cala e manca il tempo per consolidare gli apprendimenti. Il sovraccarico può passare inosservato perché la persona è sempre coinvolta e motivata, ma alla lunga porta a stanchezza decisionale e senso di inadeguatezza. I sistemi di valutazione tradizionali, pensati per carriere verticali, non riconoscono il valore creato nelle connessioni tra aree diverse, causando blocchi di carriera. Lavorare trasversalmente significa entrare in territori presidiati da altri: senza un sostegno chiaro dall’alto, questo può creare attriti e rallentamenti. Infine, serve equilibrio tra creatività e rigore analitico: troppa creatività genera idee senza risultati concreti, troppa analisi blocca l’innovazione.

La prevenzione richiede alcuni accorgimenti pratici. Definire per iscritto il perimetro del ruolo, le responsabilità e gli obiettivi, rivendendoli ogni tre mesi. Organizzare il lavoro in cicli brevi dove ogni esplorazione produce risultati concreti o viene consapevolmente abbandonata. Assicurare che un dirigente sostenga visibilmente il ruolo trasversale e rimuova gli ostacoli. Usare indicatori di valutazione che riconoscano sia la creatività che la solidità delle analisi. Limitare il numero di progetti contemporanei e proteggere momenti di concentrazione senza interruzioni.

Con questi elementi, il multipotenziale diventa un punto di collegamento prezioso che fa circolare conoscenze tra funzioni diverse, accelera l’apprendimento organizzativo e rende l’azienda più innovativa e resiliente.

Multipotenzialità, entrepreneurship e intrapreneurship

Esiste una relazione diretta tra multipotenzialità e attitudine imprenditoriale, che si manifesta sia nell’entrepreneurship che nell’intrapreneurship, fondata su tre elementi comuni.

Il primo è la capacità di riconoscimento delle opportunità. Chi attraversa ambiti diversi intercetta segnali che sfuggono agli specialisti: un problema tecnico ricorrente, una difficoltà nel percorso cliente, una tecnologia applicabile in modo non convenzionale. La multipotenzialità genera una posizione di osservazione privilegiata dove le connessioni tra elementi apparentemente distanti rivelano spazi di mercato inesplorati o inefficienze organizzative da risolvere.

Il secondo elemento è il metodo di validazione rapida. Tanto il multipotenziale quanto l’imprenditore condividono un approccio sperimentale: formulano ipotesi, costruiscono prototipi con risorse minime, cercano riscontri esterni prima di investire risorse significative. Entrambi operano attraverso cicli brevi di apprendimento dove ogni iterazione riduce l’incertezza e raffina la soluzione.

Il terzo fattore è la trasferibilità delle soluzioni. La familiarità con contesti diversi permette di riconoscere pattern ricorrenti e adattare approcci da un dominio all’altro, moltiplicando l’impatto delle innovazioni sviluppate.

Questa convergenza spiega perché i multipotenziali eccellono tanto nell’intrapreneurship aziendale quanto nell’entrepreneurship autonomo. All’interno delle organizzazioni sanno connettere competenze disperse, tradurre insight in esperimenti verificabili e costruire soluzioni scalabili utilizzando le risorse aziendali. Nel percorso imprenditoriale indipendente, la stessa capacità di attraversare domini diventa vantaggio competitivo nella costruzione di modelli di business innovativi, nella gestione della complessità delle fasi iniziali e nell’identificazione di nicchie di mercato non servite. In entrambi i casi, la loro attitudine esplorativa, se accompagnata da disciplina metodologica e, nel contesto aziendale, da supporto organizzativo adeguato, si trasforma in un motore concreto di innovazione e generazione di valore.

Conclusioni

I multipotenziali non sono casi irrisolti, ma professionisti che, se accompagnati bene, sanno dare senso alla frammentazione del lavoro contemporaneo e trasformarla in valore organizzativo. Sta alle aziende rendere possibile questa trasformazione: riconoscendo la natura narrativa delle carriere, dando ritmo all’apprendimento, misurando l’impatto delle connessioni. È un patto culturale prima ancora che operativo. E spesso vale la pena firmarlo.

 

 

[1] World Economic Forum (2025), Future of Jobs – Report 2025

[2] Mercanti, F. (2018), Multipotenziali: Chi sono e come cambieranno il mondo del lavoro – Ultra (Lit Edizioni)

 

 

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