Quanto tempo dedichi realmente all’attività lavorativa? In una fase storica dove le aziende sono impegnate nel ricercare e costruire il benessere dei propri dipendenti nei luoghi di lavoro, convivono modelli organizzativi che sembrano contraddire tale sforzo.

Il famoso economista Paul Robin Krugman[1] afferma che “La produttività non è tutto, ma nel lungo periodo è quasi tutto”. Ed in effetti rappresenta proprio quel fattore che più di altri permette di alimentare la competitività. Ciò vale in generale per un paese come per un settore merceologico, per un’azienda come per una persona. È una misura di efficienza da osservare puntualmente nel tempo per identificare punti di forza e debolezza del fattore analizzato.

Concentriamoci un attimo sulla produttività del lavoro, parametro importante poiché permette, tra le altre cose, di esprimere una misura della quantità di lavoro che può essere prodotta in un determinato orizzonte temporale da una risorsa, da un team, da un’area e via dicendo. Per la sua elaborazione ovviamente sono fondamentali dati come le ore lavorate e lavorabili e qui oggi si evidenzia una criticità particolarmente evidente, rispetto alla quale fenomeni rilevanti come la transizione digitale e la pandemia hanno agito come acceleratori.

Oggi i nostri comportamenti professionali sono condizionati dall’iper-attività, dalla turbo-connettività, dalla super-frammentarietà, in una condizione esistenziale che è ormai normalità quotidiana, ottenuta attraverso un adattamento tanto straordinario quanto inconsapevole, che dovrebbe quasi rendere non necessari gli interventi degli esperti di assessment ingaggiati dalle aziende per valutare la nostra attitudine al cambiamento.

È uno “starci dentro” così profondo che si è trasformato in un modo di essere dove l’impegno lavorativo, al di là dell’impianto normativo della contrattazione collettiva, è quasi totalizzante in termini di impatto sulla vita delle persone. Alzi la mano chi non legge le mail aziendali da casa. A chi capita di farlo anche in ferie? Chi si è reso disponibile per una web call in un giorno in cui non era prevista la sua presenza sul luogo di lavoro? Chi si porta periodicamente a casa manuali e circolari?

L’effetto di questa esistenza new normal è quello di un ampliamento dei confini dell’azienda, la cui ombra incombe anche sugli spazi e nelle fasce orarie che invece appartengono alla vita privata, dove c’è una casa, gli affetti, un cane, un giardino.

Tecnologia e modelli organizzativi generano, come mai prima d’ora, enormi volumi di dati che ci raggiungono quasi in tempo reale; informazioni di varia natura rispondenti ad esigenze quantitative e qualitative che necessitano di essere elaborate, trattate e, nelle logiche di tradizionali catene fornitori/clienti, inviate ad altri colleghi per essere ancora lavorate/trattate/inviate.

A livello emotivo le giornate si susseguono l’una dietro l’altra in modo frenetico, in azienda o da remoto in qualche altra location che non è il luogo di lavoro (nella maggior parte dei casi da casa), tra momenti di entusiasmo e sconforto, tra soddisfazioni e crisi d’ansia. Giornate dove spesso ogni richiesta è comunicata come urgente e prioritaria, in cui dover bilanciare la flessibilità delle esigenze commerciali con il rigorismo della compliance, dove è previsto relazionarsi con figure teoricamente concepite per attività di supporto che diventano alternativamente pericolosi nemici o silenziosi latitanti, in una sorta di teatro delle contraddizioni dove, con creatività, occorre mantenere all’esterno relazioni strutturate ed efficienti con la clientela e all’interno relazioni finalizzate a mantenere alto il livello di ingaggio delle persone del proprio team e con il resto della struttura trasversale, con una motivazione però significativamente sempre più indebolita dalla stanchezza.

In molte aziende non si sta comprendendo che ci si è spinti troppo in avanti, si sta facendo finta di non vedere il logoramento di numeri significativi di persone che comunicano in modo esplicito o implicito la contrazione del loro engagement; divengono conseguentemente meno disponibili alle sollecitazioni aziendali, meno interessati a mettersi in gioco per certi ruoli, attivando un “esercito di riserva” di colleghi più giovani che si trovano premiati da un’accelerazione del turnover che li catapulta in posizioni con troppo anticipo, con l’effetto di sistema di ottenere progressivi livellamenti verso il basso della qualità espressa.

Tutto ciò sta avvenendo proprio nel momento in cui risulta più alta l’attenzione delle aziende alle tematiche della sostenibilità, dove trionfano storytelling volti a comunicare la scelta di dotarsi di ambienti di lavoro percepiti psicologicamente ed emotivamente sicuri, luoghi dove si costruisce il benessere, dove si valorizza il potenziale del patrimonio di competenze, conoscenze e abilità delle persone che, grazie all’ingrediente dell’armonia, diviene strumento per favorire la crescita di quella comunità di individui e delle loro prestazioni.

Quindi parlavamo di produttività del lavoro, argomento con cui abbiamo aperto questo articolo, alla luce di quanto detto fin qui, con quali dati di ore lavorate e lavorabili viene effettivamente calcolata?

 

[1] Professore alla Princeton University (USA) dove insegna Economics and International Affairs, editorialista del New York Times, premio Nobel 2018 per l’economia, di filosofia neo-keynesiana.

 

 

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