L’impresa non versa le somme destinate alla previdenza complementare del dipendente: cosa fare? L’omissione contributiva è una situazione più frequente di quanto si possa immaginare in parte correlata anche alle difficoltà che molte aziende hanno incontrato per il susseguirsi di crisi economiche, pandemiche ed energetiche.

Quando un lavoratore decide di aderire ad una forma di previdenza complementare di tipo collettivo lo fa conferendo la quota di TFR maturando, ossia l’ammontare di TFR che maturerà mese dopo mese da quel momento; ciò vincola il datore di lavoro a canalizzare periodicamente tale somma verso il fondo scelto. Quando il lavoratore decide altresì di versare una quota di retribuzione (in aggiunta al TFR maturando) genera anche l’obbligo per il datore di lavoro di versare un’ulteriore quota secondo le percentuali stabilite dalla fonte istitutiva del fondo pensione (accordo collettivo o aziendale). In altre parole pertanto l’adesione del lavoratore alla forma pensionistica complementare genera l’insorgenza, per il datore di lavoro, di un obbligo contributivo a favore del fondo pensione, secondo le disposizioni fissate dalla fonte normativa applicata.

L’orientamento giurisprudenziale consolidato, confermato anche dalla nota dell’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) del 2020, in risposta ad un quesito dell’Ispettorato territoriale del lavoro di Milano-Lodi, individua nel mancato versamento dei contributi previsti dalle fonti istitutive del fondo prescelto un inadempimento contrattuale del datore di lavoro che, pur sottoscrivendo la domanda di adesione alla forma di previdenza complementare e aver trattenuto al lavoratore aderente in busta paga gli importi previsti, omette il versamento al fondo pensione.

Si attribuisce inoltre, anche per effetto di una sentenza di Cassazione, natura esclusivamente previdenziale a tali somme e una chiara rappresentazione del quadro complessivo che vede coinvolti tre soggetti: azienda, lavoratore e fondo pensione. In buona sintesi sul datore di lavoro incombe l’obbligo di versare la contribuzione al fondo pensione, sul lavoratore il beneficio non proviene dal direttamente datore di lavoro ma dalle future prestazioni del fondo pensione.

Nei confronti del datore di lavoro inadempiente non è possibile adottare la diffida accertativa[1] di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004, poiché la disposizione normativa fa riferimento a crediti patrimoniali in favore del lavoratore, nel caso di specie invece il credito si genera nei confronti del fondo pensione, che successivamente poi sarà tenuto a riconoscere al lavoratore le relativa prestazioni.

A fronte però degli specifici sgravi contributivi ricevuti dal datore di lavoro per la scelta di previdenza complementare del dipendente, a parere dell’INL si configura una violazione di legge che legittimerebbe il recupero degli sgravi contributivi eventualmente fruiti.

L’omissione contributiva agisce in vario modo sulla posizione contributiva dell’aderente alla previdenza complementare in termini di solidità, consistenza, regolarità di accumulo e redditività ed attiva un circuito causale che coinvolge le aspettative di rendita, le disponibilità in ipotesi di richiesta di anticipazioni, la sicurezza del possesso di un capitale al servizio di specifici bisogni su diversi orizzonti temporali di posizionamento.

Cosa può fare l’aderente in presenza di omissione contributiva da parte del datore di lavoro?

In considerazione del fatto che il quadro normativo e una ormai consolidata giurisprudenza attribuiscono al lavoratore la legittimazione esclusiva ad agire per la tutela del proprio diritto soggettivo al mantenimento dell’integrità della posizione previdenziale ed alla regolarità dell’accantonamento delle quote previste (di TFR e di retribuzione), egli deve agire in giudizio per ottenere una condanna del datore del lavoratore a favore di un terzo, in fondo pensione appunto, che deve necessariamente coinvolto nel procedimento.

Se l’omissione contributiva deriva dal fallimento del datore del lavoro?

In questo caso il lavoratore per il recupero del proprio credito deve agire insinuandosi nel passivo della procedura a cui parteciperanno tutti i creditori (in funzione del proprio titolo) del soggetto. Non vi è certezza che il quadro patrimoniale/finanziario/economico dell’azienda permetta il riconoscimento del credito; in tal caso è necessario ricorrere al Fondo di Garanzia dell’INPS.

Quest’ultimo, nei casi accertati di insolvenza del datore di lavoro, provvede a versare direttamente al fondo pensione a cui ha aderito il lavoratore le quote mancanti (TFR, contribuiti sulla retribuzione dell’aderente e dell’azienda), provvedendo altresì a rivalutare i contributi versati utilizzando, anno su anno, lo schema di rendimento del TFR.

Questa garanzia è attivabile al verificarsi di una serie di requisiti che prevedono: la cessazione del rapporto di lavoro; l’insolvenza dell’azienda accertata mediante apertura di una procedura concorsuale, l’iscrizione del lavoratore ad una forma di previdenza complementare aperta al momento della presentazione dell’istanza (la posizione quindi non deve essere stata oggetto di riscatto).

 

[1] Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti.

 

 

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