Leadership imprenditoriale = leadership ideale Tra i vali stili di leadership è quella che attraversa mode e tendenze, che si lega alla dimensione situazionale del contesto operativo e rappresenta la leva attraverso la quale animare i cambiamenti.

Chi vive i contesti aziendali caratterizzati da modelli organizzativi e distributivi specificamente costruiti su obiettivi si muove dentro giornate lavorative accompagnate da svariate rappresentazioni di leadership. Piccoli e grandi team vengono ispirati giornalmente da responsabili a cui vengono affidati compiti per:

  • comporre e organizzare i pezzi di un puzzle per raggiungere target quantitativi e qualitativi;
  • rendere pervasivi i valori aziendali;
  • favorire lo sviluppo di un ambiente dove le persone si sentano pienamente ingaggiate ed in sicurezza, in modo che possano apportare il proprio contributo con motivazione, collaborazione e serenità;
  • creare condizioni per favorire le crescite professionali dei propri collaboratori e per far emergere e valorizzare i talenti.

È pacifico il fatto che tali compiti non possano essere svolti da chiunque; non è raro trovare in quei ruoli personaggi inadeguati che replicano qualcosa che hanno visto fare da altri senza avere lo spessore per farlo o che scimmiottano atteggiamenti buttando qua e là le parole-guida del momento senza però trovare il coerente riconoscimento nei membri del team.

Nelle aziende si riscontra l’interesse a tenere allineate le prassi relazionali interne con trend e hype virali nell’ambiente esterno. È una sorta di meccanismo di adattamento al contesto, tipicamente darwiniano, una forma evolutiva che permette di mantenere legate le organizzazioni al tessuto socio-economico. In buona sostanza si individua un tema che in un determinato momento diviene prevalente (digitale, sostenibilità sociale e ambientale, diversità, inclusione e via dicendo), si incorpora nel piano strategico, lo si comunica all’esterno e riparte l’allineamento interno, affinché il nuovo verbo divenga il mantra del momento nelle dinamiche di relazione con il cliente interno ed esterno.

In questo processo, inevitabilmente animato dalle pratiche di change management, lo stile di leadership richiesto ai vari responsabili di team risultata particolarmente coinvolto e, a seconda della fase storica, si è visto richiedere gentile, inclusivo, democratico, delegante, visionario, partecipativo, autoritario, trasformazionale, transazionale, affiliativo e via dicendo.

Lo stile di leadership tempo per tempo prevalente tende inoltre ad essere adottato anche a prescindere dalla composizione quali-quantitativa del team che, per natura, vive invece di diversità, di priorità, di esigenze (anche personali) da comprendere adeguatamente e da leggere rispetto al contesto, alla fase e all’evento.

Guidare le persone è spesso più una questione di intelligenza emotiva piuttosto che di quoziente intellettivo. Su un solido fondo di competenze è una questione (non semplice) di atteggiamento, di mentalità e di applicazione di idonee mappe comportamentali. Chi guida un team deve essere una persona che ha affrontato criticità, a cui è capitato di perdersi (anche più di una volta), che abbia dovuto fare affidamento su uno o più soccorritori; una persona a cui è capitato di dover tornare indietro, ricalibrarsi, riavviarsi. Solo così si ha la certezza di avere a che fare con un individuo che ha imparato a prepararsi, a recuperare, a superare un fallimento, un errore di calcolo, una valutazione o una semplice sfortuna di momento. Chi guida un team deve essere una persona che sa convivere con una delusione e con il successo, i cui valori non possono essere cambiati o barattati.

Solo queste esperienze sviluppano una struttura, un insieme di principi, una mentalità e un dialogo interiore che diviene vero strumento di guida di altre persone. Per queste ragioni non tutti possono essere leader in qualsiasi momento della loro vita e soprattutto, quando lo sono, devono essere necessariamente situazionali rispetto alla composizione del team e rispetto alle dinamiche interne ed esterne che vive il contesto operativo aziendale.

Secondo Joel Peterson[1], docente di strategia aziendale alla Graduate School of Business di Stanford e presidente della compagnia aerea low cost JetBlue Airways, chiunque si avventuri in sfide che prevedano la guida di un team deve farlo con un piano d’azione chiaro e organizzato su quattro assets:

  • Costruzione della fiducia, che costituisce il principale motivo per trovare la legittimazione da parte dei componenti della squadra ed essere conseguentemente seguito da ognuno;
  • Individuazione di una missione, poiché dalle persone non ti puoi aspettare di avere il loro meglio senza aver reso chiaro lo scopo della loro azione;
  • Protezione della squadra, che costituisce una forma di sicurezza per fare in modo che ogni giocatore, per potersi esprimersi al meglio, si senta sempre a proprio agio;
  • Generazione di risultati, che rappresenta l’acceleratore naturale che produce più fiducia, più engagement soprattutto se accompagnata da idonee strategie di ricompense intrinseche ed estrinseche.

Egli individua, sulla base dell’esperienza di vita professionale, le seguenti cinque categorie di leader:

  • Il presidente. Dai presidenti ci si aspetta la salvaguardia dei valori, l’elegante rappresentanza del gruppo/azienda dentro e fuori l’impresa, l’efficiente gestione delle riunioni e delle comunicazioni, nonché una sapiente amministrazione del patrimonio aziendale. In altre parole sono “bravi a mantenere lo status quo, ma meno adatti a dare vita a cambiamenti durevoli”;
  • Il responsabile. Dai manager ci aspettiamo che i teams siano guidati per fornire risultati puntuali rispettando il budget. I manager “sono come direttori d’orchestra che capiscono la partitura e ogni strumento senza doverli suonare tutti” o in altre parole “fanno viaggiare il treno in orario”;
  • L’amministratore. Dagli amministratori ci aspettiamo politiche e processi che garantiscano prevedibilità ed efficienza. Gli amministratori gestiscono il processo, sono disciplinati ed efficienti ma raramente creativi o ispiratori, poiché tendono a “creare ed eseguire politiche e procedure”;
  • L’imprenditore puro. Dagli imprenditori puri ci aspettiamo innovazione, esperimenti, progetti pilota, un sistematico focus sul futuro ma con il rischio di “avere la capacità di lanciare cose nuove, ma non è detto che siano in grado di farle funzionare su larga scala”;
  • Il politico. Dai politici ci aspettiamo il compromesso, la mediazione e specifici interventi per bilanciare e ripartire il processo decisionale tra più teste. Capiscono e sanno usare il potere, ma l’eccessivo affidamento sull’abilità politica non dà certezza di buon funzionamento in ogni contesto aziendale.

Secondo Peterson il leader è colui che aspira a guidare gli altri per aiutarli a ottenere il meglio, per abbattere barriere, per cambiare lo status quo, per creare un’eredità e vivere un’esperienza che cambia la vita. In altre parole la leadership dovrebbe gestire le cose in modo che diano vita a qualcosa di duraturo, produttivo ed innovativo.

In questo senso si coglie la dimensione della leadership imprenditoriale, che si fonda sulla capacità della persona di eccellere, quando necessario e in determinate situazioni, in tutti i citati cinque stili di leadership. Il leader imprenditoriale dimostra una particolare mentalità e un approccio alla risoluzione dei problemi. È un naturale agente di cambiamento. Agisce in modo intenzionale, rimane fedele alla propria visione e non reagisce, pur osservandole in dettaglio, alle turbolenze quotidiane.

Le mappe su cui si muovono i leader imprenditoriali permettono di sollecitare, ispirare e misurare il cambiamento, spesso individuando la sua necessità prima che molti vedano la necessità di cambiare rotta. È come se avessero la capacità di vedere dietro gli angoli, sanno riconoscere i modelli e spesso risolvono i problemi prima che diventino urgenti. Al contrario, molti altri leader e manager tendono a dedicare più tempo alla pianificazione e all’implementazione di cambiamenti tendenzialmente incrementali, cercando di spingere organizzazioni (spesso burocratiche, anche se guai a farlo notare) lente a seguirli.

I leader imprenditoriali hanno compreso che in realtà le persone non hanno paura del cambiamento in sé, ma piuttosto istintivamente resistono al cambiamento obbligatorio; invece coltivare e sviluppare la fiducia, intorno al proprio brand, diviene condizione imprescindibile per essere agenti di cambiamento, poiché riescono a rendere pervasiva l’idea della necessità di farlo, in primis per le persone.

Cercare di guidare un’organizzazione attraverso un cambiamento radicale può essere rischioso. È importante superare la trepidazione delle persone “spezzando un lungo viaggio in una serie di viaggi più brevi”. Il leader imprenditoriale ha chiara in testa la vetta, ma si concentra sul percorso e sulla distanza che vuole percorrere giorno dopo giorno. Il progresso incrementale e il miglioramento continuo conferiscono alle persone un senso di realizzazione, riducendo l’ansia che possono provare per la portata della trasformazione.

È sempre un pensare in grande, che inizia però in piccolo. Gli agenti del cambiamento devono reclutare alleati che la pensino allo stesso modo; nel contempo devono prestare attenzione alle persone ostili, soggetti non solo resistenti al cambiamento, ma attivi a radunare propri simili a protezione dello status quo. Quando un leader imprenditore identifica tali persone dovrebbe tentare un dialogo per cercare di comprendere le radici della loro resistenza; se tale azione si rivela improduttiva, dovrebbe trovare un modo per separarsi da loro. Il percorso verso una nuova vetta è già complicato di suo, se il percorso viene anche gravato da un peso morto o, peggio, da chi si muove in direzione opposta, si comprende il danno che si genera.

Un agente di cambiamento assume comportamenti adattivi in funzione della progressiva acquisizione di elementi conoscitivi del team e del contesto; questa tipologia di leader impara, giorno dopo giorno, sempre più ad accelerare il cambiamento, scopre che il modo più sicuro per coinvolgere le persone è cambiare il proprio comportamento e stabilire nuove abitudini visibili. Mostrare la strada piuttosto che dire semplicemente agli altri come farlo. In altre parole se vuoi che le persone inizino le riunioni in tempo, dovrai iniziare le riunioni prima che arrivino i ritardatari. Se desideri rapporti di follow-up, dovrai riferire sui tuoi impegni. Se desideri che il servizio clienti migliori, dovrai gestire i reclami occasionali dei clienti. Se desideri far crescere le persone del tuo team devi scegliere tra quelle che sono davvero veri talenti e via dicendo.

Questo è un leader imprenditoriale situazionale. Per questo non tutti possono esserlo.

 

 

 

[1] Peterson J. (2020), Entrepreneurial Leadership: The Art of Launching New Ventures, Inspiring Others, and Running Stuff, HarperCollins Leadership, Nashville

 

 

 

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