La certificazione delle competenze: cos’è, come funziona e che finalità persegue. Con IVC si intende una serie di fasi (individuazione, validazione, certificazione) volte ad attestare un mix di competenze maturate in tutti i contesti professionali ed extraprofessionali dai quali è stato possibile ricevere un apprendimento che ha contribuito ad incrementare il profilo di professionalità di un lavoratore.

Il Sistema dell’IVC (Individuazione, Validazione, Certificazione) delle Competenze si origina da una “Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea sulla validazione dell’apprendimento non formale e informale” del 2012 che evidenziava l’esigenza di intervento legislativo da parte degli Stati Membri affinché venisse adottata una modalità funzionale alla convalida dell’apprendimento non formale e informale delle persone; ciò per consentire loro di avere la possibilità di rendere oggettivo e dimostrabile il mix di competenze/conoscenze/abilità acquisite mediante l’apprendimento non formale e informale al fine di pervenire ad una qualificazione completa o parziale della propria competenza.

Considerando che l’apprendimento formale è di chiara individuazione per il fatto di riferirsi a percorsi di studio riconosciuti (formazione professionale, diploma, laurea, master, dottorato, albi professionali, ecc), il focus è pertanto sulla dimensione non formale ed informale dell’apprendimento. Come di distinguono queste due dimensioni dell’apprendimento?

Si parla di apprendimento non formale quando deriva dalla scelta intenzionale della persona che si realizza al di fuori dai percorsi di istruzione e formazione e delle università che sfociano in un titolo di studio o in una qualifica (eventualmente conseguiti anche in apprendistato); si ottiene attraverso organismi che perseguono scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale e del privato sociale e nelle imprese.

Si fa invece riferimento all’apprendimento informale quando, a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento di attività realizzate nei contesti della vita quotidiana e nelle interazioni che in essi hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero. È il learning by doing, l’apprendimento ottenuto con il fare/osservare cose e ripetere comportamenti svolti da altri, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga in contesti lavorativi o extra lavorativi.

In buona sostanza le persone possono oggi accedere (si tratta di un vero e proprio diritto individuale) ad un servizio di individuazione, validazione e certificazione delle competenze che sono state acquisite mediante esperienze professionali ed extra professionali, non necessariamente solo lavorative (possono infatti contribuire efficacemente anche esperienze di volontariato ad esempio) e non derivanti esclusivamente da percorsi di studio.

Vediamo come l’argomento è entrato nel nostro ordinamento giuridico, poiché sebbene la Raccomandazione UE sia del 2012 a livello italiano esiste già da prima più di un precedente storico. La L. 196/1997 attribuiva infatti al Ministero del Lavoro il compito di definire e le modalità di certificazione delle competenze acquisite in uscita dai percorsi di formazione professionale. A ciò sono seguiti alcuni accordi in Conferenza Stato-Regioni e Autonomie locali che nel 2000 hanno istituito procedure per la costituzione del sistema nazionale della certificazione delle competenze, cui ha fatto seguito il DM 174/2001.

La via definitiva al sistema delle certificazione delle competenze si è però avuta con la L. 92/2012 (cosiddetta Riforma Fornero) e con il D. Lgs. 13/2013 attuativo. Sono seguiti poi, sempre a cura del Ministero del Lavoro, il DM 30 giugno del 2015 che ha definito un quadro operativo per il riconoscimento a livello nazionale delle qualificazioni regionali e delle relative competenze, nell’ambito del Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali e il DM 5 gennaio 2021 che ha adottato le linee guida che rendono operativo il Sistema nazionale di certificazione delle competenze.

I successivi interventi legislativi hanno dimenticato l’argomento; sia il Jobs act e il DM 150/2015 hanno evitato di favorire gli allineamenti necessari per permettere la maturazione dei processi, anche culturali, funzionali all’implementazione e al riconoscimento da parte di addetti ai lavori e non.

Tutti convergiamo sul ruolo centrale della formazione (in ottica lifelong learning) per affrontare le transizioni (volontarie e involontarie) che caratterizzano il mercato del lavoro; pensiamo però a come la certificazione delle competenze possa costituire strumento per il loro migliore trasferimento da un luogo di lavoro all’altro, contribuendo a rafforzare il cosiddetto profilo di occupabilità dei lavoratori, proprio per la capacità di far emergere anche le competenze trasversali e tutto ciò che è il risultato di una crescita personale ottenuta da esperienze lavorative ed extralavorative.

In buona sostanza diventano oggettivamente spendili esperienze formative estranee ai circuiti formali a cui si aggiunge la capacità di poter dimostrare l’esistenza di un accrescimento della dotazione personale di competenze ottenuta nel corso della vita; non solamente competenze hard ma anche le tanto ricercate soft. Oggi si evidenziano infatti in tema di soft skills gap significativi tra i giovani (negli ambiti linguistici e dell’atteggiamento) come anche tra i senior (nei contesti digitali in particolare).

Lo scopo dell’intero impianto, pertanto, è quello di rafforzare l’occupabilità del lavoratore e al tempo stesso la produttività del lavoro, aiutando le persone ad avvalorare le competenze possedute, in virtù di un processo formale ed istituzionale di validazione che, per funzionare, richiede anche di essere riconosciuto e compreso dal mercato, nelle sempre più complesse dinamiche di incontro tra domanda e offerta di lavoro.

L’attuazione del processo è di competenza degli enti titolari accreditati e autorizzati: amministrazione pubblica centrale, regionale, titolare della regolamentazione dei servizi di certificazione delle competenze (Ministero dell’istruzione, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, Ministero del Lavoro, Ministero dello sviluppo economico). A tali soggetto spetta fissare le linee guida per la regolamentazione dei servizi di individuazione validazione e certificazione delle competenze.

Gli altri soggetti previsti nel processo sono gli enti titolati, ovvero coloro che autorizzati dall’ente titolare a erogare in tutto o in parte i servizi di individuazione e validazione e certificazione. Possono pertanto essere soggetti appartenenti al sistema di istruzione pubblica e al sistema della formazione professionale, posso essere soggetti afferenti al sistema dei servizi al lavoro (come le agenzie per il lavoro) oppure le camere di commercio, gli ordini professionali, gli enti bilaterali ed i centri per l’impiego.

L’aspetto su cui si fonda tutto il processo IVC è la competenza che si misura nell’equilibrio coerente tra conoscenze necessarie e abilità da dimostrare. Si tratta di aspetti cruciali che, se dimostrati, conferiscono valore, e conseguentemente mercato, al lavoratore che si trova provvisto di una forma di attestazione formale ed oggettiva di quanto è in grado di offrire in una rapporto contrattuale; dall’altra parte l’azienda si trova più garantita rispetto al reale livello di qualificazione del lavoratore che ha di fronte.

In un contesto di questo tipo perde però centralità il focus tradizionale basato sulla distinzione tra mansione e qualifica. Non vi è ancora una corrispondenza bilaterale tra i paradigmi di classificazione del personale e il sistema adottato nelle analisi delle professionalità nel sistema IVC delle competenze. Quest’ultimo costituisce ancora una dimensione parallela della contrattazione collettiva, poiché i profili certificabili, identificabili nei repertori regionali delle professioni o nell’Atlante nazionale delle professioni, non trovano puntuale corrispondenza nelle diverse declaratorie contrattuali.

Non ci risulta che le fasi di progettazione e sviluppo del sistema IVC abbiano visto il pieno coinvolgimento delle parti sociali che, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere in un certo senso naturale visto che la contrattazione collettiva ai vari livelli (da quello nazionale a quello aziendale) è materia tipicamente loro.

Sono comunque facilmente intuibili le forti resistenze, soprattutto di tipo culturale, che una cosa del genere comporta; immaginare un aggiornamento dei numerosissimi contratti collettivi di lavoro esistenti, sostanzialmente fondati sulla visione anacronistica della qualifica (oggettivamente non idonea a riassumere interamente ed efficacemente le reali potenzialità della professionalità del lavoratore), appare cosa di difficile attuazione considerando anche l’inerzia con cui si sta procedendo ai loro accorpamenti.

Diciamo comunque che il Sistema IVC delle Competenze costituisce ancora qualcosa di nuovo, ancora da conoscere e riconoscere; le sue potenzialità sono però evidenti non solo negli aspetti tipicamente connessi al mercato del lavoro ma anche rispetto al rapporto con il sistema di istruzione (si pensi alla conversione in crediti formativi di competenze certificate).

Pur in presenza di diverse difficoltà e appesantimenti con cui è nato per difetti di lungimiranza del legislatore, per assenza di coinvolgimento delle parti sociali, per il rischio di consolidamento di un quadro farraginoso legato all’autonomia con cui le regioni hanno provveduto a definire i propri impianti (nonostante la condivisione di regole di raccordo), per l’assenza di una e comunicazione efficaci sull’argomento, se ne comprende però l’importanza e la necessità di renderlo universalmente operativo.

 

 

DISCLAIMER

I testi contenuti sul blog www.pwep.it sono di proprietà dell’autore che non autorizza in nessun modo il loro utilizzo per finalità commerciali, se non in virtù di espressa autorizzazione a seguito di formale richiesta inviata a info@pwep.it. Al di fuori di queste finalità il lettore è autorizzato a fare uso dei contenuti rendendo noto che sono tratti dal blog www.pwep.it, nonché a postare gli articoli su canali social utilizzando i relativi pulsanti di condivisione.