di David Nerini
14/08/2025
Nel sistema pensionistico italiano, la previdenza complementare non va percepita come un qualcosa in più, ma il secondo pilastro pensato dal legislatore per affiancare la pensione pubblica e rendere più adeguato il reddito nella vecchiaia. Le trasformazioni normative degli ultimi trent’anni hanno ridisegnato il modo in cui si forma la pensione obbligatoria: comprenderle è decisivo per valutare correttamente l’importanza dell’adesione a un fondo pensione integrativo.
In questo quadro, il concetto chiave è il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra il primo assegno pensionistico e l’ultima retribuzione percepita: più è basso, maggiore è il gap da colmare con il risparmio previdenziale individuale. Per tasso di sostituzione si intende la quota dell’ultima retribuzione “sostituita” dalla pensione al momento del pensionamento. Se la prima pensione, quindi, è pari a 18.000 euro e l’ultima retribuzione era 30.000 euro, significa allora che il tasso di sostituzione è al 60%.
Il calo dei tassi di sostituzione attesi deriva dall’incidenza di una serie di fattori normativi e demografici:
- passaggio al metodo contributivo (in forma pro-rata o integrale a seconda delle anzianità), che lega la pensione ai contributi effettivamente versati nell’intera vita lavorativa e alla speranza di vita e non più dalle sole retribuzioni finali (impostazione tipica del sistema retributivo);
- rivalutazione del montante ancorata all’andamento del PIL e non ai salari. Ciò implica che il montante contributivo è rivalutato con un meccanismo ancorato alla crescita del PIL, non ai salari; in fasi di crescita economica modesta, l’effetto è una dinamica più lenta del montante e, quindi, pensioni più contenute.
- longevità crescente, che diluisce il capitale in una rendita su un orizzonte più lungo. In altre parole, al momento del pensionamento il montante è trasformato in rendita tenendo conto della speranza di vita; l’aumento della longevità diluisce la rendita annua a parità di capitale accumulato.
- adeguamenti anagrafici e contributivi, in base ai quali sono saliti requisiti di età e di contribuzione;
- carriere lavorative più frammentate e crescita salariale moderata;
- indicizzazione delle pensioni in pagamento principalmente ai prezzi e non ai salari.
Queste regole, introdotte per la sostenibilità dei conti pubblici in presenza di longevità crescente e crescita economica più lenta, spiegano perché i tassi di sostituzione prospettici siano inferiori rispetto a quelli goduti dai pensionati con pieno metodo retributivo. Il gap previdenziale richiede pertanto una specifica pianificazione attraverso un secondo pilastro pensionistico.
Tassi di sostituzione lordi e netti: in cosa differiscono?
Il tasso di sostituzione viene elaborato in forma lorda e netta. Nel primo caso pensione e retribuzione vengono considerate prima delle imposte e dei contributi. Nel secondo caso si ottiene come rapporto tra pensione netta e retribuzione netta (quindi dopo imposte e contributi). Poiché in pensione cessano i contributi sociali e, in media, il prelievo fiscale è inferiore, il tasso netto è normalmente superiore a quello lordo a parità di altre condizioni.
Nei Rapporti “Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” la Ragioneria Generale dello Stato (dipartimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze) presenta tassi di sostituzione teorici, sia lordi sia netti, costruiti su carriere-tipo e ipotesi macro-demografiche condivise in sede europea (ciclo EPC-AWG[1]). I risultati sono aggiornati nelle Note di aggiornamento al Rapporto.
In sintesi:
- si simulano percorsi lavorativi (dipendente privato/pubblico, autonomo), età e anzianità al pensionamento secondo i requisiti vigenti;
- si applicano le regole di calcolo contributive/retributive pro-rata;
- si calcolano i tassi al lordo e al netto considerando l’effetto del fisco e dei contributi sociali.
Pur variando con le ipotesi di carriera, le serie elaborate dalla Ragioneria Generale dello Stato (per le quali occorre ricordare che si tratta sempre di scenari teorici, utili per confronti omogenei nel tempo e tra categorie e non vanno lette come promesse individuali, perché ogni posizione personale risente di storia contributiva, età di pensionamento effettiva, aliquote fiscali e dinamica dei salari) mostrano regolarità di fondo:
- Divergenza sistematica. A parità di carriera, il tasso netto è maggiore del tasso lordo per effetto del minor prelievo fiscale e dell’assenza di contributi sociali in quiescenza. La differenza può variare nel tempo con le aliquote effettive e con la struttura del prelievo sui redditi da pensione.
- Effetto età/anzianità. L’aumento dei requisiti anagrafici e contributivi (adeguati alla speranza di vita) tende a sostenere il tasso per via di più anni di contribuzione (montante più elevato), di coefficienti di trasformazione più favorevoli a età di pensionamento maggiori. Questo effetto controbilancia solo in parte il calo legato al passaggio al contributivo.
- Tipologia di lavoro. A parità di ipotesi, i dipendenti presentano tassi generalmente più elevati degli autonomi, riflettendo livelli contributivi diversi e carriere mediamente più regolari.
- Ruolo di carriere discontinue e dinamica salariale. Carriere con pause o bassa crescita retributiva si traducono in montanti più contenuti e quindi in tassi inferiori; viceversa, più contributi e maggiore continuità migliorano il profilo del tasso.
Conclusioni
Capire il tasso di sostituzione significa mettere a fuoco, con una sola cifra, quanto la pensione pubblica potrà “rimpiazzare” il tuo ultimo stipendio. Guardarlo al lordo e al netto aiuta a farsi un’idea realistica del gap da colmare: il lordo serve per i confronti, il netto per capire il reddito davvero disponibile. Da qui discende la scelta consapevole sulla previdenza complementare: fissare un livello di reddito-obiettivo, stimare la distanza e tradurla in un piano di versamenti nel tempo, sfruttando deducibilità fiscale, contributo aziendale (dove previsto) e TFR.
[1] EPC-AWG è il processo triennale con cui il Comitato di Politica Economica dell’UE (EPC) e la Commissione europea (DG ECFIN) elaborano, insieme agli Stati membri, le proiezioni di lungo periodo della spesa pubblica age-related (cioè destinata a coprire i costi dell’invecchiamento della popolazione) e le pubblicano nell’Ageing Report. Serve a valutare gli effetti dell’invecchiamento su conti pubblici e crescita.
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