Chi vive dall’interno i contesti aziendali, soprattutto chi ricopre ruoli di coordinamento e responsabilità di teams, sta notando che esiste una quota significativa di giovani neo assunti che non sta particolarmente funzionando. In un modo o nell’altro risultano poco ingaggiati; sembrano non apprezzare il fatto che siano entrati su un palcoscenico preesistente, dentro un teatro con una storia, una cultura, delle regole e una struttura complessa che, seguendo logiche evolutive di cambiamento, sono mutate nel tempo e hanno visto alternarsi attori calcare quelle scene, ognuno con l’obiettivo di contribuire alla crescita interna ed esterna dell’azienda.
Una parte di questi giovani parla al momento sbagliato, altri non parlano proprio. Ci sono quelli che faticano ad arrivare in orario, quelli che aspettano l’ora d’uscita guardando l’orologio, quelli che in entrata e in uscita si muovono tra corridoi ed ascensori nella propria bolla spazio-temporale con le cuffie bluetooth, quelli che cercano risposte a dubbi googlelando. Ci sono poi quelli che esplicitamente sollecitati nello svolgimento di determinati compiti ritengono di non dover fornire il feedback al responsabile, quelli che evidenziano assenza di minime doti relazionali che li rendono inadatti ad attività di front-line dove impattano negativamente sulla qualità e sulla misurazione del servizio clienti; altri sono oltremodo lenti, disordinati, arroganti e taluni cumulano assenze per motivazioni oggettivamente ridicole, nonostante sia stato fatto loro notare che quell’assenza in quel determinato momento risulti particolarmente impattante sul lavoro del team.
Ci riferiamo alla mancanza di quelle abilità, difficilmente misurabili, che chiamiamo trasversali; le soft skills, tanto importanti quanto le hard skills e sicuramente fondamentali per determinare il successo o l’insuccesso di qualsiasi individuo sul posto di lavoro.
L’analisi compiuta su un arco temporale di 20 anni da Bruce Tulgan[1] evidenzia proprio l’allargamento del divario di competenze trasversali, una costante e lenta erosione che interessa l’intera forza lavoro, sia i lavoratori con competenze tecniche molto richieste che i lavoratori senza competenze tecniche. Un fenomeno di cui si è riscontrata presenza già a partire dalla generazione X (coloro che sono nati nel periodo 1965-1979), nella generazione Y (i cosiddetti millennials nati tra il 1980 e il 1996) con una preoccupante accelerazione nella generazione Z (i cosiddetti gamers nati dal 1997) e, sicuramente, con quelli che verranno dopo.
Il fatto, anche solamente a livello empirico, risulta già chiaramente visibile nelle aziende e si riscontra altresì nelle attività di ricerca e selezione di società specializzate operanti in questo settore; nel tempo si sta cumulando una progressiva diminuzione delle competenze trasversali della forza lavoro. Ciò si traduce in mancanze specifiche di più di una competenza trasversale chiave che va conseguentemente a consolidare importanti debolezze e che tendono ad incorporarsi nella pasta organizzativa dell’azienda, impattando anche su performance e produttività.
Questo gap di competenze non si può compensare con nuove assunzioni, quantomeno non del tutto. Infatti se stai assumendo per lavori che richiedono specifiche hard skills (competenze tecnico/professionali), per le quali esiste molta domanda e poca offerta, probabilmente non sarai in grado di escludere tutti quelli che presentano competenze trasversali deboli. Se stai invece assumendo per lavori che non richiedono elevate competenze professionali, ti troverai un’ampia offerta a livello di candidature rispetto ad un fabbisogno aziendale contenuto.
Le competenze trasversali ovviamente poi non possono essere imposte a partire da un certo momento; sono forme di regolazione delle persone, rispetto alle quali si può rispondere creando ambienti che agevolino gli individui affinché si preoccupino a far crescere le loro soft skills, fino a prevedere specifiche e periodiche azioni di training volte a coltivarle e svilupparle.
In un certo senso le competenze trasversali esprimono una sorta di capacità di adattamento, uno sforzo (più risulta naturale, più si rivela performante) per conformare i propri atteggiamenti e la propria indole a standard di condotta esistenti, con l’obiettivo di impegnarsi e collaborare efficacemente rispetto a obiettivi più o meno condivisi. È un conformismo, se volete, calato in un’era di anticonformismo.
Con questo non si vuole assolutamente affermare la necessità che il giovane lavoratore rinunci alla propria unicità, uniformandosi e vincolandosi ad un elenco di standard esistenti. La diversità va protetta e acquisita come elemento in grado di contribuire alla creazione di valore nel team, ma non si può prescindere dal veder acquisito un set minimo di atteggiamenti e comportamenti che permettano di creare nel luogo di lavoro le basi del linguaggio comune necessario per far sì che “le cose continuino ad accadere”.
Sicuramente i ragazzi che entrano oggi nelle aziende sono il risultato di diverse forze epocali che agiscono come rilevanti fattori di cambiamento; dalla ormai arcinota globalizzazione all’estensione ad ogni ambito dell’esistenza della dimensione tecnologica, da una diffusa sensazione di insicurezza istituzionale all’ubiquità di internet, in un contesto di spiccata diversity (geografica, etnica, di orientamento sessuale, di stili di vita, di disabilità, di linguaggio, di modo di vestire e via dicendo).
Gran parte dei giovani oggi trascorrono spazi significativi del loro tempo in zone di sicurezza, altamente personalizzate, a loro dedicate: è una forma di comfort privato, una protezione che fornisce un supporto materiale e immateriale da parte di adulti responsabili che si prendono cura di loro. Ciò genera conseguentemente un’aspettativa indotta contestuale, si aspettano cioè che le figure autoritarie che incontrano fuori dalla zona di comfort continuino ad essere sempre al loro fianco, che li preparino al successo e siano al loro servizio. La disponibilità di informazioni è immediata, ampia in senso quantitativo e qualitativo; esiste un guru sui social per ogni area tematica. Capita quindi non di rado di vederli sorpresi e spaesati quando le figure autoritarie che incontrano ai vari livelli dell’azienda si comportano invece diversamente.
Eppure basterebbe partire da tre competenze trasversali, quelle forse più antiche ma in grado di aprire le porte a tutto il resto: professionalità, pensiero critico e lavoro di gruppo. Quale percorso di studio insegna questo tre vecchie competenze? Quali genitori allenano i propri ragazzi su queste tematiche?
[1] Tulgan, B. (2023), Bridging the soft skills gap: how to teach the missing basics to the new hybrid workforce, John Wiley & Sons, Inc., Hoboken, New Jersey
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