Open Talent: La rivoluzione del talento globale e connesso Come le organizzazioni possono sfruttare il potere del talento globale per affrontare, con nuovi strumenti, le sfide della competizione e accelerare l’innovazione.

di David Nerini
30/11/2024

Gli eventi degli ultimi anni, in particolare l’emergenza pandemica e l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa, hanno innescato una rivoluzione nel modo in cui si compongono lavoro e talento. Questi cambiamenti hanno scardinato paradigmi esistenti e diffusi, portando alla ribalta un nuovo modello: l’open talent, ovvero l’uso strategico di talenti distribuiti globalmente e connessi digitalmente.

L’open talent è infatti un sistema in cui le organizzazioni non “possiedono” più il talento, ma vi accedono in modo flessibile attraverso specifiche piattaforme digitali. Questo approccio consente alle imprese di attingere a competenze specializzate in modo rapido, efficiente e mirato, affrontando così sfide critiche senza necessariamente appesantirsi con costi fissi.

Rappresenta un cambio di pattern nell’approccio delle organizzazioni alla gestione del lavoro e delle risorse umane. Si tratta di una metodologia che sfrutta il potenziale di una forza lavoro globale e digitalmente connessa per rispondere a esigenze specifiche in modo rapido, flessibile ed efficiente.

Esprime qualcosa di fortemente legato alla trasformazione digitale, in grado però di ridefinire in parte le dinamiche tra aziende e lavoratori così come le abbiamo sempre considerate (seppur già così espressione di progressivi cambiamenti), generando uno spostamento da un modello centrato sull’occupazione sostanzialmente permanente (pur permeata anche di precarietà) ad uno basato sull’accesso e l’utilizzo delle competenze al momento opportuno, in altre parole on-demand.

L’argomento ha trovato una efficiente rappresentazione nel libro Open Talent: leveraging the global workforce to solve your biggest challenges[1] di John Winsor e Jin H. Paik, che delinea l’avanzamento di un nuovo paradigma che, se ben implementato, difficilmente porterà le aziende a rinuciarvi.

Gli asset su cui si fonda l’open talent sono:

  1. Accesso alle competenze su richiesta. Ciò consente alle aziende di poter utilizzare le competenze necessarie per un progetto o per una specifica parte di esso o per una singola attività, anziché assumere lavoratori con forme di contratto più stabili. Attraverso specifiche piattaforme digitali (Upwork, Fiverr, Topcoder, Freelancer), le imprese possono identificare rapidamente i professionisti più adatti, evitando costi fissi elevati e una serie di adempimenti che generalmente appesantiscono il processo.
  2. Democratizzazione del talento. Questo modello abbatte le barriere geografiche e sociali, permettendo a chiunque, ovunque nel mondo, di partecipare a progetti innovativi. Non è più necessario far parte di grandi organizzazioni per avere accesso a opportunità significative: ogni professionista, grazie alle piattaforme digitali, può contribuire con le proprie competenze.
  3. Lavoro come attività, non come luogo. L’open talent trasforma il concetto di lavoro in qualcosa che si fa, piuttosto che un luogo fisico in cui ci si reca. Questo approccio promuove la flessibilità, consentendo ai lavoratori di bilanciare meglio vita privata e professionale.
  4. Concetto di open source. Si basa infatti su principi simili, dove la collaborazione globale porta a innovazioni rapide ed efficienti. Proprio come nel software open source, i programmatori si uniscono per risolvere problemi o sviluppare nuove soluzioni, sfruttando le loro competenze in un ecosistema condiviso.

Vantaggi e implicazioni per le Organizzazioni.

L’inserimento di questa modalità di lavoro nella progettazione organizzativa può certamente impattare positivamente su diversi aspetti, in particolare su:

  • Flessibilità Operativa. Le aziende possono adattarsi rapidamente a fluttuazioni di mercato, picchi di lavoro o nuove opportunità, senza dover ricorrere a processi di selezione, assunzione e onboarding talvolta lenti e onerosi. Questo è particolarmente vero quando ci si riferisce a progetti a breve termine o per esigenze altamente specializzate.
  • Diversità e Inclusione. Attraverso l’accesso a talenti globali, le organizzazioni possono attingere a una gamma più ampia di prospettive, background culturali ed esperienze. Questo può portare a convergere verso soluzioni più innovative e favorisce l’aumento della competitività.
  • Riduzione dei costi. L’open talent può contribuire a trasformare una parte di costi fissi in variabili, generando una correlazione diretta tra costo pagato e competenza richiesta in un determinato momento per un specifico bisogno, alleggerendo oneri di lungo termine legati a stipendi, benefit e infrastrutture, innescando così anche un nuovo modo di concepire i budget.
  • Innovazione accelerata. L’apertura a competenze esterne facilita l’innovazione, permettendo alle organizzazioni di collaborare con esperti che possono portare nuove idee, soluzioni creative e prospettive talvolta inaspettate, poiché non condizionate dai sistemi relazionali interni.

Adottare forme di open talent richiede una trasformazione culturale e strutturale all’interno delle aziende. Sicuramente il primo paradigma che viene sgretolato riguarda il tema della distribuzione del potere e del controllo; passare infatti da una mentalità di controllo a una di collaborazione costituisce aspetto cruciale. Il bene prezioso del talento non è più qualcosa da possedere, ma una risorsa da valorizzare e utilizzare strategicamente.

Anche la progettazione organizzativa deve essere coerente per implementare questa modalità; laddove sussistono ancora le tradizionali gerarchie aziendali, a prescindere dal modello concettuale utilizzato (funzionale, divisionale, matriciale, ecc) occorre fare spazio a strutture più agili e decentralizzate, ove il focus si sposta maggiormente sul lavoro per progetti e sui conseguenti team interfunzionali.

Assume conseguente centralità il necessario adattamento da parte delle funzioni HR e dai vari responsabili di attività, che devono adottare modelli e sviluppare competenze per gestire un mix di dipendenti fissi, freelance e collaboratori da piattaforme globali.

Occorre altresì adottare una infrastruttura tecnologica digitale, con conseguenti strumenti gestionali, che consentano di integrare senza soluzione di continuità i contributi interni ed esterni.

Sfide, opportunità e criticità.

L’implementazione dell’open talent non è evidentemente priva di difficoltà. Si riscontrano problemi riconducibili alle esigenze di:

  • Qualità e coerenza. Quando infatti le organizzazioni si affidano a talenti esterni acquisiti per il tramite di piattaforme digitali, c’è il rischio che la qualità del lavoro non sia uniforme o allineata agli standard aziendali. La mancanza di un controllo diretto sul processo può portare a risultati non in linea con le aspettative, in termini di prodotti o servizi che non soddisfano i requisiti di qualità, ritardi nei progetti causati da dover revisionare o rielaborare i risultati, difficoltà a mantenere coerenza nei processi operativi o addirittura nella comunicazione del brand. Ciò richiede che i processi di onboarding siano improntati sull’estrema chiarezza e si basino su profili acquisiti da piattaforme in grado di certificare i curricula e le referenze delle persone.
  • Sicurezza e conformità. Ovviamente collaborare con professionisti acquisiti on-demand può esporre l’organizzazione a rischi legati alla protezione dei dati sensibili, alla proprietà intellettuale e in generale al know-how aziendale con cui entrano in contatto. Ciò deve portare pertanto ad adottare strategie di investimento in strumenti avanzati per la protezione dei dati, in analisi e definizione di standard contrattuali coerenti con questi obiettivi e adottare una seria conoscenze e selezione delle piattaforme digitali con cui lavorare.
  • Resistenza al cambiamento interno. Tutto ciò che è nuovo e dirompente tendenzialmente produce corto circuiti; è qualcosa di frequente, tipico e ricade sempre nell’ambito delle resistenze culturali e organizzative. I dipendenti interni possono percepire il modello, ed in realtà può davvero essere tale, come una minaccia ai loro ruoli, mentre i manager potrebbero non essere preparati a gestire team misti (interni ed esterni). Occorre preparare l’organizzazione ad un modello come questo, con l’obiettivo di prevenire incomprensioni e conflitti interni, evitare impatti negativi sulla motivazione dei dipendenti ed investire sulle capacità dei leader di trasmettere una chiara visione strategica, per traguardare impatti win-win (benefici per l’organizzazione e per gli stessi dipendenti).
  • Mancanza di integrazione. Anche questo aspetto è quasi ovvio e richiede di affrontare per tempo le difficoltà di integrazione con i processi, i team e gli obiettivi aziendali. È evidente che il modello fa incorporare una nuova forma di frammentazione del lavoro (magari fino al giorno prima si lavorava in ottica di integrazione di processi) che potrebbe compromettere la collaborazione e l’efficienza (si pensi ad esempio alla perdita di sinergie, alle difficoltà a monitorare l’avanzamento delle attività o misurare l’impatto dei contributi esterni). A tal fine occorre utilizzare strumenti di gestione dei progetti e piattaforme collaborative per garantire trasparenza e coesione tra i diversi team, con l’identificazione di responsabili interni di qualità per il coordinamento dei collaboratori esterni.
  • Eccessiva dipendenza dalle piattaforme digitali per il reperimento dei talenti. Ciò può portare le aziende a dipendere eccessivamente da questa modalità, con il rischio di vulnerabilità in caso di interruzioni del servizio o cambiamenti nelle condizioni delle piattaforme. Gli impatti possono riguardare: l’indisponibilità di professionisti in caso di problemi tecnici o modifiche alle policy delle piattaforme, il sostenimento di costi non previsti dovuti all’aumento delle tariffe delle piattaforme, la riduzione dell’autonomia e della capacità di gestire internamente i processi critici. A tale scopo si può agire con la vecchia e cara diversificazione; lavorare con più piattaforme e, nel contempo, costruire una rete di talenti esterni affidabile (ecosistema) e non smettere di sviluppare internamente competenze per non dipendere dall’esterno.

Open talent: l’esempio di Deloitte.

Deloitte, uno dei maggiori fornitori globali di servizi di consulenza professionale alle imprese, ha iniziato a esplorare il concetto di open talent in risposta a specifiche criticità che sono emerse sotto forma di talent scarcity, ossia di intrinseca difficoltà a trovare rapidamente le competenze necessarie per progetti a complessità crescente. Il modello fino a quel momento utilizzato per assumere e formare internamente le risorse umane acquisite si rivelava non rispondente alle necessità, poiché richiedeva tempo (e anche costi). Contemporaneamente riscontrava che alcuni clienti iniziavano a ricorrere a piattaforme di crowdsourcing per accedere a risorse esterne, ottenendo risultati significativi in termini di velocità e qualità.

Deloitte iniziò pertanto a progettare il proprio modello di open talent creando, al proprio interno, un’entità dedicata chiamata Deloitte Pixel; un centro di eccellenza concepito per scomporre in task specifici i progetti tradizionali, in modo che potessero essere affidati a talenti esterni tramite le piattaforme digitali scelte per trovare i profili più interessanti. Le attività completate dalla risorse esterne vengono integrati all’interno dei progetti principali, operando con coerenza e qualità.

I riscontri di tale modello al momento si focalizzano su una maggiore velocità nell’execution, una minore incidenza dei costi, un miglioramento della qualità del prodotto finale che si è arricchito di nuove prospettive e soluzioni creative e un incremento della capacità di far fronte ad un numero maggiore di progetti.

Conclusione

L’open talent non è solo un’opzione strategica, ma può divenire anche una necessità per le organizzazioni che vogliono prosperare in un mondo sempre più competitivo e interconnesso. Questo modello non deve però sostituire il talento interno, semmai lo deve integrare, stimolare, favorendo una trasformazione nel modo in cui si crea valore e si impatta nelle comunità.

Può essere una risposta al cosiddetto skill-shortage, ossia l’incapacità del sistema pubblico/privato di reperire rapidamente sul mercato le competenze necessarie richieste dalle aziende, che è una forma di crisi del talento, e pertanto un’opportunità per ripensare in modo profondo il lavoro e creare organizzazioni più resilienti, innovative, inclusive, in grado di valorizzare e remunerare adeguatamente le persone.

Il futuro appartiene a quelle organizzazioni che sapranno combinare il meglio del talento interno con il meglio del talento esterno, sfruttando le opportunità delle piattaforme digitali dove le persone e le loro competenze vengono messe in vetrina. Va ricercata però da subito, sin dalle fasi di progettazione, la sostenibilità sociale, la coerenza interna, l’equilibrio di articolazione contrattuale, il rispetto dei diritti delle persone, la comprensione trasversale dell’iniziativa e attivata la più alta forma di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti.

 

[1] Winsor J., Paik J. H. (2024), Open Talent: leveraging the global workforce to solve your biggest challenges, Harvard Business Review Press, Boston, Massachusetts.

 

 

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