Gamification: quando il gioco fa emergere la parte migliore di noi. Comprendere l’essenza della dimensione ludica può generare i migliori risultati di coinvolgimento delle persone; occorre però accettare tutti i pilastri su cui si fonda.

La parola gamification si traduce in italiano in “ludicizzazione”, ossia quell’azione che trasforma qualcosa in un gioco. In effetti la sua applicazione prevede l’importazione di elementi e strutture tipicamente appartenenti al variegato mondo dei giochi (si pensi alle regole, alle mosse, al design, alle sfide, alle tattiche, alle strategie, ai punteggi, alle classifiche) per applicarli ai contesti operativi più diversi.

Può trovare infatti efficace utilizzo nell’ambito delle strategie di marketing come integrazione dell’offering di prodotto/servizio con l’obiettivo di migliorare loyality (fedeltà) e brand awareness (riconoscimento del marchio) nei clienti, agendo proprio sull’aspetto ludico nelle fasi di acquisto e post acquisto, sulla premialità, sulla salita di rango del cliente in funzione del livello di fidelizzazione raggiunto.

Allo stesso modo si può “gamificare” internamente alle aziende, per accelerare ad esempio le dinamiche di partecipazione di dipendenti e collaboratori al raggiungimento di specifici obiettivi quantitativi e qualitativi; in tal caso pertanto lo strumento, insieme ad altri, è orientato al miglioramento continuo dell’engagement e al mantenimento di adeguati livelli di motivazione e soddisfazione delle persone.

Ci sono esperienze anche nell’ambito sanitario, soprattutto in ottica ad esempio di rendere più efficaci ed efficienti i programmi di prevenzione relativi a specifiche patologie e i percorsi di riabilitazione dei pazienti. Anche qui lo schema del gioco può divenire elemento vincente per una partecipazione attiva e convinta dei pazienti dai quali ottenere risultati migliori.

Anche l’industria del turismo può trovare nella gamification un non trascurabile strumento di promozione di territori, prodotti, eventi che possono vedere amplificati, soprattutto a livello di digital marketing, obiettivi di experience e di social reputation, sfruttando ad esempio giochi in realtà aumentata per scoprire tutti gli angoli di una località, a cui associare rilasci di badge al successo nelle missioni che sbloccano a loro volta livelli successivi di gioco.

Il settore della formazione, trasversalmente inteso, è un altro contesto dove questa strategia risulta particolarmente efficace in termini di oggettivi miglioramenti nei risultati di apprendimento, sia nell’ipotesi di utilizzo in aula che da remoto (in modalità sincrona e asincrona).

Molte attività di ricerca e selezione, in particolare sul target dei nativi digitali, possono essere “gamificate” soprattutto con il fine di creare un ambiente più rilassato in grado di far emergere con maggiore chiarezza le skills dei candidati, con il risultato di performare meglio il livello qualitativo dei selezionati.

Ogni settore (anche il no profit) può pertanto ricercare la condizione migliore per implementare lo schema ludico che può costituire strumento per favorire anche l’accessibilità integrale a persone diversamente abili; ciò non significa che ovunque applicato generi successo a prescindere, questo perché non esiste un modello standardizzato da utilizzare “pronti e via”.

Ogni contesto però può progettare efficacemente una formula personalizzata, può contribuire a migliorare le esperienze di utilizzo; una cosa è certa, la gamification non la si può considerare una moda del momento, una tendenza volta a creare aspettative (solo per fare hype si direbbe oggi), ma un ambito su cui vale la pena investire tempo e denaro, poiché si lega con la dimensione più intima e profonda delle persone, nel loro essere clienti, fornitori, dipendenti, collaboratori, pazienti, turisti, viaggiatori e così via.

Le dinamiche ludiche sono infatti correlate ad istinti presenti in modo diverso in ogni essere umano; ciascuno di noi avverte più o meno intensamente il bisogno di autodeterminazione, l’esigenza di misurarsi in sfide poiché il loro superamento genera appagamento e soddisfazione nonché voglia di mettersi in gioco nuovamente, il desiderio di mettere alla prova le proprie capacità, le abilità a ricercare soluzioni, l’ambizione di raggiungere posizioni di vertice nella classifica dei best performer.

Ci sono obiettivi che con altre metodologie non verrebbero raggiunti, poiché altre tecniche, altri stimoli non hanno il potere di creare, in modo così profondo, coinvolgimento. Ciò che distingue la gamification da altre modalità (riconducibili in particolare alla ricompense estrinseche) volte ad ottenere l’attenzione e la disponibilità delle persone, è la sua struttura che si fonda su quattro pilastri: identificazione di un obiettivo, accettazione delle regole di ingaggio che regolano la partecipazione al gioco, esistenza di un sistema di feedback e volontarietà di partecipazione al gioco.

  • Con l’obiettivo si identifica la direzione del gioco, la finalità perseguita con la partecipazione;
  • Con le regole di funzionamento viene definito il perimetro operativo, genera vincoli e opportunità e stimola il pensiero creativo (strategia emergente);
  • L’esistenza di un sistema di feedback è importante perché fornisce un senso di significatività al gioco, è un monitoraggio in itinere di quello che si sta facendo, è una misurazione dell’avanzamento e, conseguentemente, del delta che separa dal raggiungimento dell’obiettivo finale;
  • La volontarietà della partecipazione è l’elemento su cui si fonda la comprensione del “patto” attraverso il quale si sceglie di far parte o meno del gioco, di giocare e di uscire prima del tempo.

L’ultimo elemento è forse quello più importante; assegnare alla persona la scelta di giocare, di migrare verso la status di giocatore significa ottenere il livello più alto di ingaggio. Cade l’eterodirezione a vantaggio dell’autodeterminazione.

Con riferimento al ricorso alla gamification in ambito risorse umane questo aspetto è quello più critico, poiché le azioni volte a generare engagement difficilmente vedono le chiavi dei cancelletti di ingresso/uscita consegnate nelle mani dei dipendenti. Ciò che accade di solito è l’identificazione e l’utilizzo, nel modo più coerente possibile, di una serie di elementi appartenenti alla dimensione ludica (punti, livelli, badge, classifiche), senza però mai realizzare e costruire integralmente il “gioco” sui suoi quattro pilastri.

Non ci si deve pertanto stupire del fatto che in diversi casi queste strategie di coinvolgimento, talvolta anche mal comunicate, si rivelino incomplete, generando risultati non sempre apprezzabili e feedback negativi da parte dei destinatari.

Le direzioni aziendali interessate realmente ad approfondire l’uso della gamification dovrebbero pertanto assumere l’unica ottica di osservazione possibile in base alla quale ogni progettazione di interventi a base ludica deve partire dal considerare che il target non sono le persone nei diversi ruoli di dipendenti e collaboratori, ma le persone nel ruolo di giocatori.

 

 

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