Employee engagement: il coinvolgimento richiede ricompense. Concentrare le attenzioni sulle ricompense intrinseche permette di superare l’effetto temporaneo di quelle estrinseche e, nel contempo, contribuire a conferire strutturalità al coinvolgimento delle persone.

Il coinvolgimento della risorsa umana si fonda su basi consolidate di motivazione e soddisfazione e costituisce uno degli elementi più rilevanti per attivare atteggiamenti positivi e propensioni verso le sfide del cambiamento.  L’engagement dipende da diversi drivers: creatività, energia, impegno, capacità relazionali, responsabilità, entusiasmo, partecipazione, competenze e via dicendo, per ognuno combinati in personalissimi mix.

Convogliare e canalizzare il coinvolgimento in funzione degli obiettivi perseguiti dell’azienda è pertanto una delle più interessanti opportunità per garantirsi uno decisivo strumento di accelerazione. Trattandosi di un fattore intangibile, di difficile misurazione, espressione della diversità di ogni individuo, suscettibile di mutare nel tempo e nello spazio, occorre dedicarvi una speciale cura, un insieme di attenzioni che devono necessariamente includere anche le ricompense.

Il primo pensiero che si formula quando ci si riferisce alla parola “ricompensa” va verso quella estrinseca, ossia quel tipo di intervento che incorpora un riconoscimento stimolato da fattori esterni a cui si collega il raggiungimento di un determinato obiettivo. Può prevedere l’uso della tecnica del rinforzo positivo, quando il matching con il traguardo apre ai premi corrispondenti erogati in modalità economica e non, come anche la tecnica del rinforzo negativo, che comporta invece l’infliggere le penalità quando si manifestano errori, mancanze e disallineamenti.

La ricompensa estrinseca positiva ha lo svantaggio che se persa per poco (si pensi al funzionamento dei sistemi incentivanti con la combinazioni di cancelletti che aprono/chiudono gli accessi alla composizione del premio rispetto agli obiettivi quantitativi e qualitativi definiti dalle direzioni) potrebbe generare un ricordo negativo; impegni e sforzi che non hanno trovato finalizzazione per una manciata di punti attivano disimpegno e un senso di ingiustizia che sono i nemici del coinvolgimento.

Chi privilegia questa tipologia di ricompensa presuppone la dipendenza degli individui da stimoli ed influenze esterne. L’individuo però è sostanzialmente un essere libero che, attraverso leve interne espressione del proprio modo di essere, può impattare autonomamente sui livelli di motivazione.

La dimensione intrinseca della motivazione pertanto ha natura endogena; la dinamica alla base del coinvolgimento si genera per motivazioni personali, per specifico interesse, è incardinata nella persona e trova negli ambienti sociali (lavorativi e sportivi ad esempio) la sua attivazione.

Ci sono ancora manager di vecchia scuola che agiscono prevalentemente sulla base di un arsenale motivazionale costruito su leve esterne (con rinforzi positivi e negativi) in qualche caso mortificando anche il sistema valoriale costruito dall’azienda e oggetto di comunicazioni esterne su vari livelli, mentre le ricompense chiave che guidano il coinvolgimento dei lavoratori oggi provengono direttamente dal coinvolgimento stesso, dalla sequenza di azioni che la persona attiva nella propria autogestione.

Cosa si intende per autogestione in questo contesto?

Ogni persona, nel proprio modo di essere sul luogo di lavoro, da una parte esprime un giudizio sulla significatività del fine dell’obiettivo richiesto mentre dall’altra valuta sul grado di scelta disponibile nella selezione delle attività da svolgere; nel contempo esprime un giudizio sul livello di competenze/conoscenze/abilità che sta mettendo al servizio del compito svolto e sul livello di crescita e progresso che lo svolgimento del compito ha generato.

Si tratta di quattro valutazioni incorporate nella logica di base del processo di autogestione dell’individuo impegnato nell’attività lavorativa. L’elemento più rilevante da cogliere è che sono accompagnati da una forte carica emotiva; ne consegue che quando tali giudizi si collocano nell’area della positività costituiscono vere e profonde ricompense intrinseche che, in virtù del fatto che nascono dall’interno, sono in grado più di altre di rafforzare il coinvolgimento continuo.

Le quattro valutazioni in argomento esprimono rispettivamente un:

  • Senso di significatività, ossia qualcosa che dà significato al tempo e all’energie profuse in quell’attività o verso quell’obiettivo. Ci si sente in una sorta di missione a cui attribuire un valore per sé stessi e per l’azienda in cui si lavora.
  • Senso di scelta, ovvero qualcosa in cui si opera una selezione, un’attribuzione di priorità per permettere che il compito sia svolto nei modi ritenuti più appropriati.
  • Senso di competenza, ossia ciò che si prova nel svolgere il compito con abilità proprie in grado di generare qualità.
  • Senso di progresso, ovvero è la percezione che il lavoro svolto stia fluendo per realizzare qualcosa di concreto importante per la persona e per l’azienda.

Se ci pensiamo bene infatti quando sul lavoro stiamo bene è probabile che quel benessere possa avere a che fare con il fatto che stiamo facendo qualcosa di utile (significatività), che lo stiamo facendo nel modo in cui riteniamo più opportuno farlo (scelta) e sulla base delle nostre specifiche capacità (competenze), contribuendo pertanto ad alimentare la nostra crescita professionale (progresso).

Sulla base del modello[1] sviluppato da Kenneth W. Thomas prese a coppie inoltre il segno di significatività e di progresso esprimono un obiettivo, mentre il senso di scelta e competenza esprimono una attività. Per altro verso invece il senso di scelta e di significatività costituiscono ricompense di opportunità, mentre il senso di competenza e di progresso costituiscono ricompense di realizzazione.

Si comprende pertanto la tendenza alla pervasività delle ricompense intrinseche e la capacità maggiore rispetto a quelle estrinseche a guidare l’employee engagement. Non va però taciuto il fatto che contesti lavorativi con un clima in cui inizi ad emergere la diffusione tra i dipendenti di sensi di impotenza (come nel caso dell’impossibilità a cambiare lo stato delle cose a prescindere da come si facciano) o di insensatezza (come nel caso si percepisca la poca rilevanza o l’inutilità del lavoro svolto) agiranno come ostacolo alla motivazione e, laddove non si predispongano gli opportuni correttivi, con la sedimentazione si potrà arrivare anche a “bruciare” risorse umane.

 

[1] THOMAS K. W., (2009), Intrinsic motivation at work. What really drives employee engagement, Berrett-Koehler Publishers, San Francisco

 

 

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