di David Nerini
27/09/2025
Nel dibattito sul welfare aziendale capita spesso di confondere due piani: da un lato, l’investimento dell’impresa in beni e servizi che intercettano bisogni sociali reali e dall’altro, il tentativo di trasformare pezzi di retribuzione in benefit per inseguire un mero vantaggio fiscale.
La Risposta n. 195 del 2025 dell’Agenzia delle Entrate ad un interpello mette un punto fermo su questo confine, con specifiche indicazioni a che chi si occupa di risorse umane e di relazione industriali che non può non considerare.
Il caso ha avuto origine da un accordo sindacale che, in coerenza con il CCNL applicato, ha soppresso dal 1° gennaio 2025 alcune indennità ritenute dalle parti obsolete e ha offerto ai lavoratori in forza al 31 dicembre 2024 due opzioni di scelta: congelare il valore come ad personam oppure destinarlo ad un conto welfare (in questo caso offrendo anche un importo maggiorato rispetto all’indennità stessa). Il quesito posto dall’azienda si sostanziava sulla richiesta di conoscere se, scegliendo il welfare, quelle somme potessero non concorrere al reddito ex art. 51 commi 2 e 3 del TUIR. La risposta dell’Agenzia delle Entrate è stata negativa, confermando che la conversione di indennità retributive in prestazioni di welfare non è esente, salvo il caso in cui la conversione riguardi premi di risultato. In altre parole, quelle somme vanno considerati imponibili secondo le regole ordinarie,
L’Agenzia ha fondato il proprio ragionamento sostanzialmente su due pilastri: il “principio di onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente (di cui all’art. 51, comma 1 TUIR) e il carattere “eccezionale e non estensibile” delle deroghe di cui ai commi 2 e 3 (ossia beni e servizi socialmente rilevanti). Le esenzioni, pertanto, non possono essere usate per “sostituire voci retributive fisse o variabili”. Si tratta di un orientamento consolidato che fu oggetto già di chiarimento nella Risoluzione n. 55/E del 25 settembre 2020, richiamata espressamente in questa ultima risposta.
La deroga trova applicazione solo nell’ambito degli spazi definiti dalla Legge di Stabilità 2016 con esplicito riferimento ai “premi di risultato legati a incrementi misurabili” che possono essere assoggettati a imposta sostitutiva vantaggiosa e, su scelta del lavoratore e nell’ambito di un accordo sindacale di secondo livello possono essere convertiti in welfare con accesso alle esenzione di cui parla l’art. 51 TUIR. Tutto ciò che sta fuori da questo perimetro configura uno switch tra denaro e benefit che non attiva l’esenzione fiscale.
In modo analogo a dire il vero l’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 77/2025 è intervenuta qualche mese prima in tema di MBO[1], mantenendo la medesima linea interpretativa e indicando che le retribuzioni variabili convertite in welfare non godono di esenzione se rappresentano forme di “ad personam” e se non sono afferenti alla generalità o a categorie omogenee di lavoratori secondo le regole dei premi di risultato.
Analizzando la struttura normativa dell’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, emerge chiaramente come le esenzioni fiscali siano concepite per incentivare l’accesso a prestazioni con rilevanza sociale: sanità complementare, formazione, equilibrio vita-lavoro, trasporti ecosostenibili, supporto alla dipendenza. Si tratta di una strategia di policy che identifica nell’organizzazione aziendale un partner nell’erogazione di servizi di utilità sociale, richiedendo tuttavia che tali interventi mantengano la propria natura assistenziale senza trasformarsi in forme retributive mascherate.
Il Chiarimento n. 195/2025 ribadisce questa impostazione concettuale e disincentiva approcci “ibridi” attraverso i quali l’impresa, sopprimendo compensi tradizionali, cerca di trasferirne la sostanza economica verso sistemi di welfare aziendale al fine di preservare benefici tributari. Tale operazione non configura welfare genuino: rappresenta compensazione sotto diversa veste.
La distinzione risulta fondamentale per preservare l’integrità dello strumento normativo e garantire che le agevolazioni fiscali raggiungano effettivamente le finalità sociali per cui sono state istituite, evitando distorsioni che potrebbero compromettere l’equilibrio tra obiettivi di politica sociale e sostenibilità del sistema tributario.
Laddove sono pertanto in corso interventi che contemplano la sostituzione di elementi retributivi con welfare, l’orientamento è inequivocabile: rivedere le configurazioni, poiché gli importi così convertiti risultano soggetti a imposizione fiscale. Relativamente alla contrattazione aziendale di secondo grado, il punto di riferimento rimane la misurabilità e controllabilità dei target relativi ai bonus performance: esclusivamente all’interno di questo framework normativo la trasformazione in welfare preserva il regime di esenzione. Nella strutturazione dei piani di welfare aziendale, il principio orientativo è costituito dall’accessibilità generalizzata o per categorie e dalla coerenza con le esigenze sociali; qualsiasi dispositivo che replichi, anche in via mediata, una facoltà individuale di scelta tra liquidità monetaria e prestazioni al di fuori dell’ambito dei bonus rischia di incorrere nella tassabilità.
Un’osservazione finale di natura operativa concerne il mezzo di erogazione poiché, sempre nel corso del 2025, la Risposta n. 5/2025 ha riconosciuto la possibilità di utilizzare carte di pagamento configurate come “documenti di legittimazione” secondo l’art. 51, comma 3-bis TUIR. La questione però dal punto di vista fiscale non muta: se il credito origina dalla conversione di retribuzione in senso stretto, mantiene la soggettività fiscale, mentre se si colloca nell’ambito del welfare normato o della conversione dei premi, può beneficiare dell’esenzione.
Conclusioni
Con la Risposta ad interpello n. 195/2025 l’Agenzia delle Entrata ha evidenziato inequivocabilmente che il welfare autentico si caratterizza per la capacità di integrare utilità sociale e non per la funzione di sostituto delle componenti retributive. Per chi opera in ambito HR e per gli attori delle relazioni industriale l’impegno si articola su due direttrici: progettare sistemi conformi all’articolo 51 TUIR e correlare gli strumenti fiscali a risultati organizzativi misurabili, evitando semplificazioni improprie.
Nel corso del 2025 occorre pertanto verificare e, nel caso, risolvere eventuali incertezze interpretative negli accordi e nei regolamenti aziendali, ricalibrare le procedure di conversione e, quando necessario, rimodulare gli accordi attraverso il collegamento alle performance quantitative e qualitative poste come obiettivi.
In questa prospettiva, il welfare aziendale recupera la propria identità funzionale: un ecosistema di supporto al benessere delle persone e alla competitività organizzativa, piuttosto che un espediente di ottimizzazione contabile.
Tale approccio garantisce sostenibilità normativa e contribuisce alla costruzione di sistemi di people management realmente allineati agli obiettivi strategici dell’organizzazione e alle aspettative di valore dei collaboratori.
[1] Un Management By Objectives (MBO) è un sistema di gestione strategica che orienta le performance organizzative attraverso la definizione, condivisione e monitoraggio di obiettivi specifici e misurabili tra management e collaboratori.
DISCLAIMER
I testi contenuti sul blog www.pwep.it sono di proprietà dell’autore che non autorizza in nessun modo il loro utilizzo per finalità commerciali, se non in virtù di espressa autorizzazione a seguito di formale richiesta inviata a info@pwep.it. Al di fuori di queste finalità il lettore è autorizzato a fare uso dei contenuti rendendo noto che sono tratti dal blog www.pwep.it, nonché a postare gli articoli su canali social utilizzando i relativi pulsanti di condivisione.






